MONTAGNA di LOMBARDIAMONTAGNA di LOMBARDIA

 

 

Parapendio - Racconti tratti da altri siti

Notte stellata, il vento da nord spazza le lacrime dal cielo. Si dorme bene nel caldo del proprio letto.
Dalle persiane socchiuse pernetrano le prime luci dell'alba di un giorno come tanti altri, per molte persone.
Per chi, invece, ha fatto delle proprie braccia ali e del proprio corpo un fuso aerodinamico, oggi è un giorno magico. Il cielo perfettamente terso, un gradiente termico verticale notevole, la primavera alle porte.


Solita routine di preparazione ad una giornata di volo, con un po' più di entusiasmo. Scarponi, guanti, vario, casco, sottocasco, tutto perfettamente schiacciato nello zaino, sempre troppo piccolo, ma sempre così pesante !.
E' un giorno lavorativo, molti dovranno sfogare alla sera la rabbia di aver perso un giorno favoloso per causa di quel maledetto lavoro...
Forse qualcuno avrà deciso di prendere ferie e mi farà compagnia in decollo.
La grossa manica a vento dell'atterraggio è ancora incerta se orientarsi da sud o da nord. E' presto, nessuno arriva mai in atterraggio prima delle 12.
Non posso più aspettare, devo salire in decollo, il recupero lo farò questa sera o domani, tanto questo ferro vecchio di moto non me lo ruba nessuno.
Il piano del decollo dei delta è, per noi parapendisti, un pessimo decollo, ma con un po' di esperienza si riesce ad andare in volo senza problemi e poi, in caso di un brutto giorno con inversione bassa, ci si può godere il piacere delle termiche blu, con i piedi che penzolano sul mare di nebbia: per mal che vada si fa una planata di 1200m di dislivello.
Comunque oggi la situazione è ben diversa: le termiche blu partono come petardi da quota 200 metri e si fermano chissà dove.
Le piante del decollo iniziano ad ondeggiare a cicli che si fanno sempre più regolari.
E' ora !
Nessuno si è visto in decollo; peccato, avrei preferito avere qualche compagno di volo, anche se oggi le termocavie non servono !
La manichetta si raddrizza, anche quella che c'è poco più in basso sulla punta di un arbusto al fondo della scarpata, segna brezza allineata al pendio e di buona intensità. Il ciclo termico è attivato, non attendo oltre: decollo.
Guadagno velocemente i primi 300 metri di quota restando nell'incertezza se continuare a salire come un ascensore, senza fare una sola virata, affondando semplicemente i comandi fino a raggiungere la minima velocità di volo, in modo da non uscire dalla termica, o se fare qualche 360°, così solo per non fare come chi si gode un giorno di bel tempo stando seduto in poltrona, con giornale e pantolfole. OK, attacchiamo il rock !
La termica blu non si firma nel cielo con un cumulo che ti dice dove trovarla, te la devi sudare, se riesci a passare 30 secondi in un -7 metri al secondo senza farti mettere a terra, allora sei entrato in pista, ma attento: il toro scatenato non vede l'ora di disarcionarti e cacciarti a cornate al di là degli spalti, in un bel sottovento, in pasto all'ira della folla.
La bestia è domata, ora prendo fiato volteggiando in un +4 metri al secondo, la folla esulta, sono al centro della pista, sono solo, in questo momento non vorrei nessun altro con me.
Debolezze umane.
Potrei morire qui, senza poter salutare nessuno...
Pensieri veloci, irrazionali, che l'immensità del cielo in cui sono immerso non fanno che accelerare.
2500m si sale ancora bene, ma se continuassi le virate in questa debole ascendenza perderei del tempo prezioso nella lotta contro i chilometri....
Senza accorgertene sei entrato nella folle ruota dei record da battere, nella corsa per dimostrare al mondo che sei tu il migliore, che non temi avversari....
No, troppe volte sono atterrato dandomi i pugni in testa, dopo un bellissimo volo, solo perchè non ero riuscito ad arrivare la'...., la', chissà dove e chissà perchè.
Basta chiacchiere !
Affronto il primo lungo traverso con il vento in coda: traiettorie scontate, anche se poco frequentate.
La prima risalita.
Qualche tempo fa ero arrivato qui alle 16 e avevo lottato per 30 minuti prima di fare quota 2000, adesso devo fare i conti con le "botte mattutine" che mi fanno fare lo jo-jo. Salti in groppa e ti avvinghi alle redini della bestia e, con gli occhi chiusi, aspetti che la lancetta del vario torni sullo schermo ad un tranquillo +5.
Zona pessima quella di BARD: vento forte, nessun atterraggio, ma poco importa, oggi nemmeno i sassi scendono! La prima volta che sono passato di qui ho dovuto combattere con la dinamica frastagliata delle creste, adesso con la quota che ho raggiunto posso beffeggiarle e arrischiare una traiettoria che mi porta dritto sulle prime cime della valle di CHAMPOLUC.
Ora viene il difficile, fino a quì conoscevo il percorso, ma adesso è tutto nuovo, se sbaglio dovrò destreggiarmi in una valle sempre più stretta e ventosa, per non parlare di CHATILLON, dove, per ben che mi vada, troverò almeno 50Km/h di brezza !
"Basta perdermi in pensieri sul cosa sarà !"
Non ci sono ancora arrivato, devo pensare ad impostare la nuova traiettoria, a dove andare a riagganciare e ad un eventuale prato per atterrare... ALEX mi ha detto di entrare nella valle "tanto che ti frega hai, il vento in coda". Aveva ragione, come sempre.
Nel traverso si salta da una parte all'altra del seggiolino. Non potrei uscire da questa turbolenza senza il rischio di andare ad atterrare. Questa direzione è l'unica che , forse, mi consentirà di riagganciare una termica.
Davanti a me una cresta alta appena 1600m, le prospettive non sono buone, sarà difficile riguadagnare quota.
Per la prima volta di oggi fatico a localizzare il canale giusto, quello in cui si sale, qualsiasi cosa si faccia, qualsiasi traiettoria si imposti, eppure il sole batte bene, uno sguardo all'ora ...
Che razza di volatile di pianura !!!!
Sono le 11 del mattino e, data l'ora legale, sono solo le 10! Nella fretta di salire, di decollare, di andare in volo, non mi sono accorto di essere decollato ad un'ora da pazzi, in cui il sole, nelle giornate normali, non ha ancora fatto a tempo a scaldare la terra e quindi corro il rischio di restare presto a corto di carburante: niente aria calda, niente possibilità di salire, niente più chilometri in volo.
Nulla mi diceva di stare a terra: brezza, gradiente termico, calore dei raggi solari, frequenza dei cicli termici, tutto era perfetto. Potevo almeno fare più quota, prima di affrontare questo traverso.
Adesso in un attimo potrei trovarmi a terra o abbracciato ad una pianta, tentando ancora con la mano di fare l'ultima virata, sperando di poter ancora agganciare.
Sono quasi finito, ma devo lottare fino a quando quel "sono quasi" non si sia trasformato in un tragico "sono".
Per fortuna esiste un santo anche per noi volatori, un canale scosceso, rocce a strapiombo e altri petardi da domare, saranno certo pochi e non bisogna fare errori di pilotaggio. Seggiolino, comando sinistro, entro in virata, avanzo leggermente, rilascio, rientro, mi avvicino al pendio, rallento, rilascio il comando interno, viro...
Salgo.
Finalmente fuori, sono ancora in gioco: la quota di 2300m non è certo confortante; la cresta piega prima verso nord- est poi verso nord-ovest, verso lo ZERBION. Zone d'ombra enormi, il sole è molto lontano dallo zenit e non so decidermi sulla prossima mossa da fare, sono un pessimo giocatore di scacchi, non so prevedere quali saranno le mosse successive, ma qui siamo in aria e il pezzo a cui spetta la mossa sono io: ora cavallo per saltare un colle, ora pedone per procedere un metro alla volta in una piccola termica, ora alfiere per incrociare una traiettoria, ora torre per uno spostamento senza limite di quadretti.
Ora sono un re sottoposto a scacco: una regina avversaria mi blocca minacciosamente la strada, non ho a disposizione molta quota, non posso fare salti da cavallo, devo arroccare.
Calma, cerchiamo di rifare un buon pieno di quota, perdere 10 o 20 minuti per pensare, in una posizione più sicura.
Ottima mossa: La regina si scopre ed ora sono una torre che si ferma a 3500m. Il gioco con un avversario così penalizzato è divenuto semplice.
Sono saltato su un treno velocissimo, la deriva per il vento da sud mi ha tolto ogni dubbio: la prossima meta è lo ZERBION, canali fantastici esposti a sud-est.
Pago la corsa subendo delle terribili turbolenze, la mano destra è continuamente a metà fra freni ed emergenza.
Il re resta arroccato, ma gli altri pezzi sono tutti pronti all'attacco, la mente si concentra sui comandi: freni acceleratore.
Zerbion, mon amour! Di qui ho fatto i primi voli alti, 2200m di dislivello in un mattino di febbraio. Quanto freddo, ma che emozioni....
Ora non è che un trampolino di lancio per la prossima cresta: la becca D'AVER.
Ho volato anche da lì sempre con il mio fidato nove cassoni: giorno instabile, siamo arrivati fin sopra ST VINCENT.
Ora è diverso, non posso affidarmi "al caso", ora devo attraversare la valle a tutti i costi. La tensione nervosa è a livelli da esaurimento: sbagliare sarebbe un peccato..( la infernale macchina del record si riaccende e ti ruba la ragione e spesso centinaia di metri). Oggi gira tutto bene, forse troppo...
All'improvviso la sensazione macabra del sellino che parte in rotazione: manovre istintive, precise, per evitare la caduta.
Freno esterno a fondo, peso tutto a destra.
Non basta.
La rotazione inizia, perdo il senso di orientamento. Il groviglio di cavi blocca i freni: è il primo twist, non pensavo potesse succedere con il mio Bat...
Calma, pensa, agisci, ristabilizzati.
La velocità di rotazione diminuisce, i cavi iniziano a srotolarsi.
La maniglia del paracadute di emergenza resta ancora una volta al suo posto, oggi non ci sarà nessuna data di apertura e ripiegamento sul manuale.
Ok, sono fuori, l'ala torna a volare.
Tutta velocità verso una zona sicura.
"...Ma dove sarà ?"
Ero quasi sul pendio, sulla parte soleggiata, adesso dove devo andare?
... BIIIIP, la bomba è esplosa: la lancetta del vario si nasconde. Resiste solo l'altimetro, che continua a mangiarsi i numeri. Un 360° sarebbe impossibile. Alla velocità con cui salgo, nella termodinamica fortissima, rischierei solo un velocissimo ritorno a pendio con conseguenze disastrose.
Potenza delle termiche BLU.
Fino ad ora avevo visto poche volte la quota 4000 metri scritta sull'altivario, capisco perchè gli alianti vengono in VALLE a fare i voli più belli...
E' ora di smetterla, girare un +2 a 4250 metri non mi servirebbe che a congelare ulteriormente.
... Le dita ?
Dove sono ?
Freddo, fa terribilemnte freddo.
Trovo le parti del mio corpo morsicando i guanti. Non dicono nulla, sono fredde, non sono gelate, stavano solamente lì in silenzio, compiendo il loro dovere: stringere la barretta del freno.
Prossima fermata l'Aiguille CROUX, ma se arrivo più alto potrò sorvolare una cima di 3000 metri su cui le termiche hanno posto un chiaro cartello pubblicitario.
Attimi eterni.
Mai come ora mi sono sentito impotente, in balia della natura, a nulla servirebbero i miei sforzi se dovesse entrare il vento da nord ....
Rifaccio il pieno di quota: 4300 metri; devo vedermela con il traverso piuttosto duro della VALPELLINE.
"E se tentassi di andare al GRAN COMBIN ?"
Dall'altra parte VERBIER mi accoglierebbe a braccia aperte. ... Sogni di gloria...
Meglio attraversare la valle e macinare chilometri verso il MONTEBIANCO, almeno il ritorno a casa sarà più facile.
Sono sopra al decollo 4 di AOSTA; grido al miracolo !
Non vedo nessuno.
Per forza, guarda quanta neve !
La stanchezza si fa sentire, le braccia sono a pezzi, hanno già lavorato molti metri di dure termiche; la schiena incassata nel seggiolino si lamenta; i pensieri si annebbiano; la soddisfazione di essere arrivato fin qui è talmente grande da farmi balenare per qualche attimo nella mente l'idea di atterrare: atterraggio sicuro, il caldo di un bar, una bibita, un panino, il treno fino a casa, una doccia calda, il letto.
Ora volo per il puro piacere di essere in aria; la macchina del record ha lasciato il posto alla macchina del piacere sottile del volo libero.
Rifare il pieno di quota è uno scherzo, lottare contro le termiche è molto meno difficile che dover lottare contro se stessi, con la voglia di arrivare...
Il percorso visto da questa quota è chiaro, evidente, i canali, le creste rocciose che spuntano dallo spesso manto di neve segnano le fermate di un viaggio fantastico, verso una meta ignota, che cambia istante per istante, si avvicina ad ogni fermata e si allontana appena hai deciso di non scendere dal treno.
COURMAYEUR !! Non ci posso credere, piango dalla felicità, ma non voglio scendere, ho fatto un volo fantastico a tempo di record, sono solo le 16, le 15 per il sole, ma 6 ore nelle braccia sono tante. La vista del BIANCO, delle JORASSES, del DENTE, irresistibile la voglia di arrivarci ancora una volta più vicino.
Pazienta ancora un attimo, rifai quota, pensa la traiettoria migliore: ti devi giocare ancora molte ore di sole e adesso più che mai non devi sbagliare !
Eccola: ancora lei!
La macchina infernale spunta dalla rimessa con la portiera aperta e ti invita a salire.
Un pensiero folle, i PILONI soleggiati del BIANCO sono lì che ti aspettano, 4810, quanto basta per il TOUCH & GO sulla cima più alta d'Europa !
La macchina scalda il motore, ti avvicini, ma il baratro che si apre dopo il portone è accecante, troppo irreale. Nessuno fino ad ora è mai riuscito a passare sopra il BIANCO, anche i delta preferiscono la via della MER DE GLACE per raggiungere la Francia.
Lo scorso anno ero riuscito a passare sopra le JORASSES, 4300 o 4400m, poi sono atterrato a CHAMONIX: ho rischiato le manette, ma sarei pronto a rifarlo ! Un aliante, incredibilmente alto sopra il BIANCO italiano. Sono a 4000 e continuo a salire bene sopra la TOUR ROND.
Posso vedere la MER, ma il desiderio è irresistibile.
Parto per un traverso da brivido, ghiacciai, cime di oltre 4000m. Forse sto scherzando con il fuoco (anzi con il ghiaccio ), ma mi sento sicuro, le traiettorie sono calcolate, evitano le zone pericolose con un buon margine di quota, la NOIRE, i PILONI, ci sono, adesso vedremo se le termiche arrivano fino a .....
Salgo in 360° seguendo i BIIP del vario, perchè le solite sensazioni sul segiolino mi fanno pensare di girare in discendenza, eppure è un favoloso +3, verticale come le torri di roccia che lo spingono.
Inevitabile pensare alle storie degli alpinisti, lette sui libri, che hanno lottato con questi imponenti guardiani. La magia di passare il filo delle creste, di essere in orbita, ad una quota in cui nessuna montagna d'EUROPA può raggiungerti... !
Si sale ancora, mai come ora capisco che le termiche BLU si arrestano la' dove noi non riusciamo più ad agganciarle, dove la nostra mente non riesce più a disegnarle nel cielo.
L'aliante, è ancora qui, mi ha visto, mi saluta piegando le ali; penso alla faccia del pilota: 40 a 7 scarsi di efficienza, ma tutti e due lì, sopra lo stesso treno; la termica si addolcisce, ma la tengo in pugno, sono ancora distante da...
Il mio unico compagno di volo mi saluta e si allontana velocemente: istintivo, ma illusorio, seguirlo.
Inconfondibile una sagoma di ghiaccio appare al mio fianco. Mi avvicino, è colma di alpinisti che urlano festosi, chissà cosa darà loro tanto fiato ?
Un uomo coperto di stracci colorati attraversa la loro vita in attimi che per entrambi saranno indimenticabili. Passo, rasentando la cima, sopra pochi occhi increduli. Il sole è tiepido, la brezza sottile, quasi inesistente, condizioni che qui si trovano di rado.
Mi faccio forza e sblocco l'emozione che mi toglie il fiato, urlo, saluto, sgambetto.
Continuare a giocare fino a notte con i miei nuovi compagni sarebbe il desiderio più grande, ma non voglio scendere a questa fermata, sarà il sole a darmi la meta.
Da più di 4900m riesce facile disegnare la rotta verso la capitale mondiale dell'alpinismo: CHAMONIX, ma anche verso MIEUSSY o verso quella cima, sconosciuta, sulla quale sembra spiccare il cartello blu della prossima fermata.
Plano al centro di un mondo irreale.
Uno sguardo all'ora, sono le 18: è veramente troppo tardi per cercare nuove mete, nuovi orizzonti. La lunghissima planata di un'ora, a 7 di efficienza e 30 Km/h, mi ha fatto guadagnare molta strada e la meta sembra ora affacciarsi dietro l'ultima stanchissima termica a +1.
L'atterraggio deserto di MIEUSSY. Anche qui ho già volato. Con le luci del tramonto tutto è diverso, più dolce, ma anche triste perchè una volta con i piedi a terra scoccherà la mezzanotte e le mie ali si trasformeranno nuovamente in uno straccio sfilacciato, privo di vita.
Piango come un bambino, sono felice e triste allo stesso momento, sto per atterrare, ma il canale a fianco del prato sembra dirmi "vieni ti offro l'ultima possibilità".
Cedo e mi lascio tirare nel folle gioco. Si "dinamica" bene anche se il dislivello non è più di cinquanta metri. La brezza è buona, troppo, il vento sta rinforzando e avrei fatto meglio ad atterrare, piuttosto che vendermi l'anima per qualche metro.
Manovre istintive di chi ha imparato a volare nelle valli in cui il signor VENTURI è diventato celebre.
Sono a terra, anche se attorcigliato dai cavi e dalla vela: giusta fine di un presuntuoso.
Fortunatamente anche questa volta QUALCUNO è stato così gentile da perdonare la mia superbia.
Sono ARRIVATO !!!
Mi districo a fatica, tiro il groviglio di cavi e spinneker su per quei maledetti 50m di pendio, mi fermo, colgo al volo l'ultimo squarcio di sole.
Sono più o meno a 150 Km, in linea d'aria, da casa, sono distrutto dal freddo e dalla fatica; il sangue che torna a scorrere nelle mani congelate è il primo prezzo da pagare per 9 ore di volo.
Passano i soliti 5 minuti neri, poi la vita torna a scorrere nelle vene, cominci a ripensare al volo, al decollo, alla prima termica che ha segnato un giorno indimenticabile, il tempo passa troppo velocemente, le luci delle auto sulla strada ti riportano alla realtà: devi svestirti, piegare, metterti lo zaino a spalle e sfoderare il pollice magico... In Francia dovrebbe essere tutto più facile, qui tutti riconoscono da un miglio di distanza un parapendista appiedato !
Si ferma una scassatissima R4, sta insieme solo per gli adesivi che la ricoprono.
Saluto con il mio rocambolesco francese ...
Mi chiede da dove arrivo, non capisco se si riferisce al volo o al mio paese di origine.
Svicolo con la tipica frase: "Giornata favolosa per il volo !"
Dall'accento molto poco francese capisce che sono italiano e mi ripete la domanda:
"Da dove vieni ? Da CHAMONIX, o sei salito a piedi in decollo ?".
Sorride, sembra leggere nei miei occhi qualche cosa di grosso.
"Lo sai che un mio amico aliantista ha visto un parapendio sul BIANCO ? Ha detto che puntava verso la FRANCIA...."
"Deve essere stato uno dei pochi pazzi, ma fortunati, in aria: oggi si è scaricato un brutto temporale sul versante nord delle Alpi e nessuno ha osato andare in volo prima delle 16, ma hanno fatto tutti un volo stupendo. Probabilmente in Italia hanno potuto volare bene già dal mattino..."
"E tu quanta strada hai fatto? Che ala voli ? Che ..."
Quante domande, la strada corre veloce, non gli ho neppure chiesto se va nella mia direzione. Ha finito le domande, mi racconta che è arrivato vicino al lago di GINEVRA, stava tentando con degli amici il record di distanza sul triangolo FAI, era tardi per concludere l'ultima boa, ma oggi nemmeno i sassi scendevano: record europeo ...
"A proposito dove vai?"
"Devo tornare in ITALIA".
"Hai la macchina a CHAMONIX ?"
" No"
"A les HOUSCES ?"
" No"
"Vai al traforo ?"
"Si, spero di trovare un passaggio verso l'ITALIA, altrimenti un pullman"
"Hai franchi ?"
" No, spero di poter cambiare in frontiera, se devo..."
"Ma non mi hai detto che ala voli !"
"Un Bat *****, un 23mq, è molto veloce, quasi 40 Km/h..."
"Be, non è certo un aliante, ma termica bene, soprattutto sopra i 4000m !"
Ride, non capisco se mi prende in giro o ...
Lo guardo, sorride, lascia le mani dal volante e, allungando le braccia, mi ripete un gesto indimenticabile... le ali di un aliante in volo, si muovono, siamo in alto.... saluta !
Era proprio lui ! Altro che un amico, passava sul BIANCO dopo forse più di 600 Km di volo !
Quanto è piccolo il mondo, temevo di raccontare il mio volo per paura di non essere creduto e invece parlavo con uno dei pochi che mi aveva visto da vicino.
Andiamo a farci una bevuta a CHAMONIX ?
"Ok, tanto è tardi e sarà bene trovare un telefono per avvisare a casa che tarderò, un po'"
"Da dove sei partito ?" Ora non ha più senso svicolare: "Da ANDRATE"
ANDRATE ? PAS POSSIBLE !
"Quanti chilometri sono fino a qui?"
" Boh 100, forse più, non so di preciso".
Arriviamo in centro, per una strada ormai familiare, dove il top degli alpinisti e dei volatili si mischia alla folla dei turisti e degli sciatori.
Entriamo nella fumosa birreria "della bionda", come la chiama C. Un tavolo particolarmente affollato e rumoroso leva gli occhi dalla birra, saluta il mio amico, di cui non saprò mai il nome, lo invita al tavolo.
Si accorgono del pivello e gli chiedono se sono un allievo; mi puntano con gli occhi ( di chi la sa lunga sul volo ), "Tu voli in parapente !"
"Sì"
"Gran giornata, eh, oggi !"
"Si, molto buona"
Ci sediamo, metto fra le gambe il mio pargolo, che non lascerei da solo per nessuna ragione al mondo.
Tirano fuori una cartina con il loro piano di volo, hanno tentato tutti il triangolo, qualcuno non è riuscito a finire per colpa di un maledetto temporale che gli ha impedito di passare sulla boa di GINEVRA e così si è dovuto accontentare di poco più di 800km di percorso, gli altri hanno ancora i 1200 Km di volo negli occhi; se li guardi bene riesci ad intuire i loro percorsi...
Con fare scherzoso mi chiedono di tirar fuori il mio piano di volo.
Naturalmente non lo avevo fatto, ma gli dico che è nel fondo dello zaino e, se permettono, posso illustrarglielo sulla loro magnifica cartina.
Stento a trovare il paesino di ANDRATE, che è dall'altra parte del tavolo, sotto una media bionda.
"Eccolo ! Questo è il punto di decollo, ore 10 circa !"
Silenzio, mi guardano e scoppiano a ridere, poi mi invitano a continuare, come se stessero per ascoltare una buffa storiella argutamente artefatta.
Traccio con la matita il percorso di volo, le quote toccate, cerco di spiegare loro le difficoltà incontrate, un decollo un po' prematuro, vista l'ora, una zone di volo nuova, il vento di valle, le turbolenze, le facce stupite di alcuni alpinisti, un aliante, la planata, il canale che stava per ferirmi...
Troppi particolari, troppo preciso, non può essere un sogno. Il mio compagno di volo continua la mia rotta nel versante francese, spiegandomi che avevo avuto fortuna a non bucare in più di un posto, sono passato a fianco di due o tre termiche di servizio, che loro usano abitualmente alla sera e che io, invece, ho raggirato, sprecando chilometri gratis...
Le ore corrono, il righello non riesce a unire il decollo all'atterraggio, si abbozzano un paio di misure a spanne, poi con l'aiuto di un metro tascabile si fa il punto. Qualche problema con la scala, non può essere giusta.
"A che ora sei partito ?"
" Verso le 11, credo"
"A che ora sei atterrato ?"
" Mi pare fossero le 20 forse più forse meno"
"Nove ore di volo su quel trabiccolo?"
" Sì, è stata dura "
"Hai una media di 16 Km/h. A quanto voli in massima velocità? "
"A 40 Km/h indicati, si intende, quindi, considerando la quota media del volo e il vento in coda per la maggior parte del volo, a molti di più "
"Che quota massima hai fatto ?"
Sono passato sopra al BIANCO, forse qualche metro in più, ma non molti "
"Fa freddo sul seggiolino, vero?"
" Sì, ma in volo non lo senti. Voi volate con l'ossigeno ?
"Oggi siamo arrivati a 7500m in termiche blu, e lass- non se ne può fare a meno. Se fosse entrato il nord, saremmo riusciti a fare 8 o 9000m in volo d'onda."
" Grazie per la bella serata, ma ora devo decidere se cercare di tornare a casa o tovare un posto da dormire".
Avevo assolutamente bisogno di un letto e ora ne avevo dieci a disposizione, dovevo solo scegliere.
"Che dormita!"
Ci voleva proprio, il tempo è triste, la bassa pressione è entrata, la meteo francese assicura almeno tre o quattro giorni di pioggia, inutile restare, devo tornare in ITALIA, devo recuperare la moto in decollo.
Poco importa, mi giro, chiudo gli occhi e sono pronto per un altro volo !
Le montagne sono ancora lì, le termiche, le traiettorie, le emozioni che ho provato sono svanite, non ne resta alcuna traccia, se non nei miei ricordi. Mercoledì, che giorno.... ....Sognare ad occhi aperti un volo che prima o poi qualcuno ripeterà, forse sognando a occhi aperti con un pezzo di carta in mano.


Nota: Tratto dal sito "sparavel.it""

 
 
 
IN VOLO DAL MONTE ROSA



di Claudio Aimone

Le previsioni meteo in un'estate piuttosto avversa, che peggiora di anno in anno con bizzarrie e capricci, avara di quell'anticiclone stabile, l'amico delle ferie, finalmente regalano uno spiraglio per tentare la salita alla Capanna Margherita, il rifugio più alto d'Europa, arroccato nel gruppo del Monte Rosa.
L'intenzione, raggiunta la cima, è quella di decollare con il parapendio, per poi atterrare ad Alagna Valsesia, 3200 metri più in basso.
Alpinisticamente le difficoltà della salita lungo la via normale rimangono modeste, legate più all'ambiente ed alla quota che a passaggi tecnici.
Di regola con il parapendio si parte da un decollo basso, comodo da raggiungere in macchina o con gli impianti di risalita, per sfruttare le correnti ascensionali, guadagnare quota, spostarsi lungo i crinali grazie all'efficienza del mezzo, magari per ore, oppure semplicemente per scendere a valle immersi nel paesaggio. Ho la fortuna di abitare in una zona servita da più decolli di facile accesso, che si trovano a meno di cinque minuti dalla porta di casa.
Ma volare in montagna, dopo la sudata a piedi, rimane un'altra cosa.
Desiderato, gustoso, recondito il sapore della planata. Ti trovi in aria e riguardi anche la traccia seguita in salita, asssaporando un caleidoscopio di emozioni intense.
Già, le emozioni! In quest'era super tecnologica, dove entrando in casa e schiacciando un pulsante si accende la luce, schiacciandone un altro ci si collega al mondo con immagini e suoni, mancano solo la tattilità e i profumi per espandere i sensi, seduti sul divano, con il riscaldamento regolato a piacere.
Si allontana il gusto dell'avventura quotidiana, si assopisce il senso di osservazione dell'uomo che per svolgere la propria attività lavorativa o ludica guarda il cielo, rispetta i limiti e le esigenze della natura (usata invece per canalizzare frustrazioni o creare business), si sente integrato in essa, vivendo un rapporto bilaterale fatto da una parte di umiltà, timore, a volte rabbia, dall'altra di grandiosa potenza.
Nel volo in montagna, a mio avviso, vien dato di riscoprire integrità d'azione, armonia con l'ambiente, appagamento di un desiderio effimero, ma Tuo.
Il risultato dipende da fattori legati a te, alla buona sorte, alla meteorologia, definita da Hubert Aupetit ( I visitatori del cielo , pag.21 ): "simile all'economia, utile per dare ottime spiegazioni a cose fatte. Le sue analisi soddisfano lo spirito curioso.
Ma esse hanno qualche difficoltà nel campo pronostico. Il computer è il mezzo indispensabile per centralizzare i movimenti delle 1000 stazioni continentali, dei 4000 osservatori navali e delle stazioni automatiche sempre più numerose che si installano sul pianeta per sostituire la troppo costosa opera umana. Le previsioni si basano su delle simulazioni numeriche. Vengono utilizzati dei modelli differenti a seconda degli stati, cosicchè talvolta si ottengono delle stime divergenti. Le previsioni, anche in 24 ore, possono essere errate, o in ogni caso non abbastanza precise per appagare i bisogni vitali di utenti esigenti come gli aereonauti di tutte le discipline".

Consultato il bollettino di Nimbus e decisa la data di partenza, faccio un giro di telefonate. "Pel e os" il biondo, Luca "al gress", che formano la coppia pane e salame, ed altri. Ma tutti nella sostanza mi danno risposte simili. Rimangono a casa.
La sera prima, perse ormai le speranze di avere un compagno, arriva il regalo. Beppe si è liberato dagli impegni, saliamo insieme. Artista nella fotografia, idealista di pensiero, gli calza a pennello la definizione data dalla Buscaini a Reinhard Karl, figura di spicco dell'alpinismo tedesco: " Concreto e sognatore nel contempo, profondamente sincero, colto per scelta di studio personale, non amante degli schemi fissi. Un prussiano travestito da bohemien, preciso, efficiente, e razionale dietro l'apparenza vagamente hippy." Diceva che la montagna aveva fatto di lui una persona positiva, amante della vita.
Partiamo al mattino presto da Ivrea, nostra città, per raggiungere Alagna. Da qui la prima salita con gli impianti per l'Indren è solo alle 8,30, ma grazie che ci sia.
Superato il tratto iniziale di piano tagliamo il sentiero classico deviando sulle roccette attrezzate con corde fisse, risparmiando circa mezz'ora. Lasciamo il rifugio Gninfetti sulla sinistra, puntando al colle del Lys.
Proseguendo il cammino, reso leggero dalla conversazione amichevole e dalla splendida giornata, osserviamo le prime formazioni di cumuli, alti, ma in anticipo.
Probabilmente più avanti ci sarà un piccolo temporale estivo.
Raggiungiamo il Rifugio Margherita in meno di 4 ore, con zaini carichi di circa 20 kg. (abbigliamento, attrezzatura alpinistica essenziale, vela-imbrago, apparecchi foto).

Ale Bich, mio compagno di lavoro nella stagione invernale a Cervinia e palinatore del Ventina, d'estate migra fin quassù come capo-turno ( l'altro capo è il Gian, pilota d'aereo e parapendio ), in cerca di un posto dove meditare, dove far battere il suo gran cuore. Ci aspetta con lasagne fumanti al formaggio, di quelle che lasciano la bava ininterrotta quando con la forchetta le alzi dal piatto, e si fan gustare prima con gli occhi. Accompagnate da un litrozzo di rosso, sorsato in nome dell'amicizia e della salita, arrivano presto alla fine. ( Grazie davvero Ale! )
Come prevedibile il cumulo ingrossato, proprio tra noi e l'atterraggio, impedisce il decollo. Inoltre non conosco l'intensità del vento nel fondo valle. Preferisco aspettare, riposando al sole caldo, senza fretta o timori.
Mal che volga anch'io dormirò qui, ritentando domani.
Studiando le traiettorie di volo e immaginandomi nei diversi punti vengo pervaso da una strana sensazione: non riesco a sporgere la testa molto oltre la balconata.
Eppure, anche dovessi abortire il decollo, scivolerei al massimo per quei 100- 150 metri di neve compatta che separano il Rifugio dall'enorme pianoro sottostante, riportando qualche graffio sui vestiti, come capitò al "Mocetta" (poi riuscito a veleggiare sopra al rifugio, ripagandosi).
Forse inconsciamente cerco protezione prima di prepararmi.
Preferisco rischiare lo scivolone in partenza se la vela non porta o se sale male, piuttosto che avere l'impiccio dei ramponi durante la corsa iniziale.
Potrebbero infastidirmi sui cordini, oltre che in fase di atterraggio.
Alle 18,00, con il cumulo dissolto, la valle visibile, il vento quasi neutro in decollo, e non ultima considerazione gli alpinisti rintanati per la cena, decido che è il momento propizio.


Stendo la vela nello spazio adiacente al Rifugio, con le bocche rivolte a Nord, pronte ad incamerare la pochissima brezza, in quel magico gesto di sollevamento che trasforma un tessuto adagiato per terra in macchina, in profilo alare.


Iniziando a correre la sento salire regolarmente, dritta sulla testa. E' il momento di buttare ulteriormente il peso del corpo lungo la linea di massima pendenza accelerando i passi. Trascorsi pochi secondi mi trovo staccato, e aspetto di guadagnare una distanza dal pendio sufficiente per virare a destra, verso il vallone di Macugnaca.


Le condizioni serali tranquille di planata permettono una guida rilassata, lasciando spazio a pensieri e a istinti. Assorbo come una spugna la bellezza del paesaggio, l'intensità del momento, dimenticando tutto il resto.


Circa un'ora e un quarto più tardi, prossimo all'atterraggio, presto maggior attenzione alle manovre, compiendo gli ultimi "otto" prima della procedura finale, e fila tutto liscio. Beppe, che si è fermato a dormire in Rifugio, mi raggiunge al mattino seguente, per un caffè sorsato tra i gerani di Alagna, come prima di iniziare la salita.

ALLA SCOPERTA DEL PARADISO


di Claudio Aimone

Non sempre, quando andiamo a volare, conosciamo l'ambiente naturale che ci ospita ed I problemi ad esso collegati. Ecco allora che il racconto quasi solo accentrato sul volo, diventa un ottimo pretesto pe rparlarci di questo luogo.
Il Parco del Gran Paradiso è considerato fra i principali d'Europa, e non solo per il suo più importante ospite, lo stambecco, ma soprattutto per la maestosità dell'ambiente, il cui centro è idealmente rappresentato dal Gran Paradiso con i suoi 4061 m d'altezza, e per la gran varietà della vegetazione, favorita dalle più svariate condizioni esistenti tra valle e valle e tale da rappresentare nel suo insieme la maggior parte dei componenti la cosiddetta Flora alpina, raccolta presso il Giardino Alpino "Paradisia" di Valnontey, aperto al pubblico nei mesi estivi. Lo stambecco (Capra ibex ibex L) rappresenta l'emblema del parco, appartiene alla famiglia dei Bovidi, ha forma simile ad una grossa e robusta capra, con pelame folto di colore variabile, grigio fulvo d'estate, corna corte e esili nelle femmine, falciformi e lunghe sino al metro nei maschi. Vive in branchi, separati secondo il sesso, e solitamente le femmine còn i piccoli rimangono più in alto. Il parto avviene a maggio, dopo circa sei mesi di gestazione, sopra il limite dei boschi, dove preferisce i terreni rocciosi sui quali si muove con straordinaria abilità. Il camoscio (rupicapra rupicapra L.), ci coabita tranquillamente, appartiene alla stessa famiglia ed è di mole più piccola, con corna corte e sottili, ricurve all'estremità, pellame marrone scuro, e per la sua natura più diffidente. Contrariamente allo stambecco, è abbastanza difficile da avvicinare. Gli altri animali maggiormente presenti sono la marmotta, (roditore dall'istinto sociale iper sviluppato, raggiunge i 7 kg di peso ed è famoso per le complicatissime tane, vere case anti alluvione e anti predatori), i rettili, piccoli carnivori appartenenti alla famiglia dei mustelidi: ermellino, martora, faina puzzola, tasso, mammiferi come la lepre bianca, la volpe, l'arvicola delle nevi, il cinghiale e il capriolo. Anche l'avifauna si presenta interessante con il gallo forcello o fagiano di monte, la coturnice, la pernice bianca, la poiana, i gracchi, il gufo reale e la maestosa aquila reale. Fra gli altri uccelli che nidificano nel Parco ricordiamo i picchi, l'allodola, il merlo, la rondine montana, il pettirosso, la ballerina, il balestruccio, la cincia, il cuculo, il culbianco e il sordone. In ogni stagione il Parco offre possibilità diverse. La tarda primavera e l'estate sono i mesi della fioritura e delle escursioni in alta quota. In autunno si colorano i boschi e per stambecchi e camosci inizia il periodo degli amori, mentre d'inverno il territorio si ricopre di neve. In quest'ltalia che ecologicamente, e purtroppo non solo, va a rotoli, il Parco Nazionale del Gran Paradiso resta una delle ultime oasi di benessere, sopravvive dibattendosi tra mille difficoltà burocratiche e pochi soldi di finanziamento, grazie soprattutto all'amore di chi lo gestisce. Nella vita delle guardie e nella gestione del Parco ci s'imbatte continuamente in dramatiche carenze di denaro: un tempo esistevano i cavalli, che ora sono stati eliminati per esigenze di bilancio. Circa la metà delle guardie hanno come unica compagnia un cane, generalmente un pastore tedesco. Per un certo periodo erano armate con i fucili Colt, che una legge li ha obbligati a consegnare, perche considerati da guerra (Va comunque detto che non tutte le guardie sono favorevoli a girare armate). I camosci egli stambecchi uccisi ogni anno dai bracconieri sono ancora centinaia, ma i rapporti con i guarda parco sono mutati negli ultimi tempi: fino a poco fa partivano facilmente i colpi di fucile, ma senza mai uccidere nessuno. Vi furono attentati pesanti compiuti con candelotti di dinamite posizionati contro i casotti o nascosti nella legna per far saltare in aria la guardia. La figura del bracconiere è decisamente mutata, adattandosi al nuovo. Gli anziani non hanno nessuna vergogna nel dire di aver ucciso nella carriera infiniti capi, anzi è spesso un motivo di vanto. (Si racconta solo a carriera terminata, altrimenti si può incorrere in "soffiate") Per quanto criticabile era una lotta ad armi pari tra il bracconiere e la guardia, fatta di levatacce all'alba, di appostamenti estenuanti, dormendo per giorni all'addiaccio, di avvicinamenti sottovento all'animale, di furbizia e spesso anche di ingloriose sconfitte. Oggi anche il bracconiere non ha più voglia di faticare e preferisce appostarsi nel fondovalle per sorprendere gli animali che calano spinti dalla fame, sparando, com'è già successo, dalla macchina o dalle finestre di casa. E' miracoloso il fatto che, malgrado gli attentati e una scarsità paurosa di personale, la fauna del Parco non diminuisca, ma tenda ad aumentare: forse è la natura che qui vuoi prendersi una rivincita per essere stata troppo umiliata altrove. Delineata una traccia dell'ambiente Parco, necessaria per capirlo e viverlo, passiamo brevemente alle sue radici ed alla storia alpinistica. Il Parco del Gran Paradiso trae le sue origini dalle Regie Patenti emanate il 21 settembre 1821 dal cavalier Thaon di Revel, luogotenente generale di S.M. nei Regi Stati, con cui si proibiva la caccia agli stambecchi. Solo in seguito re Vittorio Emanuele Il costituì una Riserva Reale di caccia che comprendeva le Valli di Champorcher, di Cogne, la Valsavaranche e la Valle dell'Orco. Il lavoro svolto da una cinquantina di guardie, consentì agli stambecchi di moltiplicarsi rapidamente nonostante le numerose battute reali. Nello stesso tempo fece costruire sentieri e mulattiere che costituiscono ancor oggi il sistema viario per la protezione della fauna. I montanari si sono disinteressati completamente delle cime più alte, attratti maggiormente dalle strade, dai passi, dai boschi, dai pascoli e dai valloni, dove poteva smarrirsi il bestiame o dove si poteva cacciare la selvaggina. ... Rispetto altri gruppi montuosi le esplorazioni sono iniziate molto tardi, circa versa la metà dell'ottocento, a causa della posizione decentrata e poco appariscente. Bisogna aspettare il 1867 per registrare un avvenimento di una certa importanza (la prima salita alla cima è del 1860): la pubblicazione di un accurato studio geografico della zona, redatto da M. Baretti, che diede impulso al fenomeno esplorativo italiano. In seguito all'arrivo dei camminatori stranieri, che spesso assoldavano le guide locali, qualche precursore delle moderne strategie pubblicitarie s'inventò, riuscendo quasi a farlo, la salita sino in cima in compagnia dì un fedele asino, per dimostrare quanto fosse semplice e accessibile il tracciato (chi conosce l'animale sa che non è affatto stupido). Il Gruppo culmina con l'omonima vetta a 4061 metri, l'unico "quattromila" interamente in territorio italiano. La via normale di salita sul versante ovest, con pochi crepacci, è probabilmente l'unica di tale altitudine nel panorama alpino così comodamente camminabile (è considerata anche una classica sci-alpinistica). Nell'affrontarla occorre tuttavia tenere conto di alcuni fattori: la notevole altitudine, appunto, e la conseguente rarefazione dell'aria, l'esposizione verso ovest da dove spesso soffia un vento gelido, e infine la lunghezza del tratto tra il rifugio e la vetta. Solo pochi metri prima della cima, rocciosa e sormontata da una "Madonnina", si supera un tratto a picco sul ghiacciaio. Eccezionale il panorama che si ammira: dal Monte Bianco al Cervino, dal monte Rosa a tutte le Alpi Graie, dal Monviso al Delfinato. L'itinerario di salita generalmente è articolato in due giornate.
Lasciata la macchina nel piazzale di Pont Valsavaranche, si attraversa il torrente ancora immersi nella vegetazione di larici e pini per proseguire sul frequentatissimo sentiero, dove poco a lato pascolano tranquilli, oramai abituati alla presenza dell'uomo, diversi stambecchi. Il rifugio non è visibile sino all'ultimo, e si raggiunge in circa un'ora e mezza. Non essendo io un Re, cui era concessa ogni delizia diurna e notturna, consumata la cena ho dormito con il mio fedele amico e fotografo Beppe al fianco, sprovvisti di talamo, ma nel lusso di una cameretta a due. Il secondo giorno, lasciato il rifugio verso le 5, procediamo in direzione nord sino a raggiungere la lingua terminale del ghiacciaio, che in modo impressionante si ritrae di anno in anno. Seguendo le marcate tracce di passaggio scavate come scalini di una qualche gradinata, risaliamo confortati dal cielo terso, e praticamente dall'assenza di vento, tra decine di cordate, qualcuna con bimbi giovanissimi. Nella salita, un solo tratto, la cosiddetta schiena d'asino, è percorso obbligato, altrimenti si può sorpassare a destra e a sinistra come nelle strade americane. Raggiunta la crepaccia terminale, brillano al primo sole mattutino le roccette finali in coincidenza dell'esposto ma facile passaggio. Ed eccoci prossimi alla vetta, dopo circa quattro ore. Questa è la volta in cui incontro meno vento, nullo sui pendii e proveniente con raffiche irregolari da destra, discendente in cresta. Mi sembrerebbe di non cogliere una possibilità rara se dovessi abbassarmi per il decollo, e aspetto.
Altre volte sono sceso dalla cresta 100 o 150 metri, e ricordo con particolare piacere, verso gli anni '90, l'avventura con l'amico Loris il giallo, soprannominato cosi per via di un certo abbigliamento che oggi utilizza solo più a funghi, quando surfò dalla vetta al rifugio con una tavola autocostruita dopo mesi di lavoro in cantina, e qualche paio di sci avuti in prestito segati in metà per copiarne la struttura. Ci trovammo, lui dopo la surfata ed io dopo il volo, al rifugio Vittorio come convenuto per mangiare insieme un piatto di pasta, e questi momenti riempiono stomaco e vita. (era verso fine maggio, con ancora molta neve per atterrare e ripartire dal rifugio). Evidente il fenomeno tipicamente estivo osservabile dalla cima: dopo il sorgere del sole, l'atmosfera del versante valdostano è di norma limpida, mentre formazioni nuvolose consistenti salgono dalla Valle di Locana, e si fermano in cresta al confine tra la regione piemontese e valdostana. La causa è dovuta alla maggior apertura a est della Valle di Locana, che riceve i venti umidi provenienti dall'Adriatico e dalla Padana, e incassandosi nelle valli piemontesi più larghe a oriente si condensano per raffreddamento in abbondanti vapori e spesse nuvole. L'azione meccanica del ghiacciaio in movimento combinata alla forza eolica modificano costantemente, almeno a queste altezze, la struttura del manto nevoso, e mai mi è sembrato così poco pendente, invitante, di super-lusso rispetto ad esempio alla Capanna Margherita. Qui pare di essere in campo-scuola, al cospetto di un panorama che spazia, invitante, a 360°. Là mi coglieva, prima del decollo. il timore di scivolare anche per un solo passo errato sino al colle, e di dover risalire, in un ambiente severo, verticale. Invece ora è tutto smussato. addolcito, i pensieri corrono alle montagne intorno, sale il desiderio di conoscerne il più possibile. di abbracciarle. di averle nei miei sogni, di ritrovarmi ancora con l'amico Beppe; ci sto bene quassù, ci stanno bene mente e corpo. non si è vincolati dalla concentrazione che annulla il mondo circostante, diventa la padrona assoluta, ingabbia il cuore durante i momenti delicati. Per circa una buona mezz'ora il vento debole continua dalla destra, vanificando i tentativi. L'ala sale svogliata, rimane dietro e non entra in portanza. Corro per pochi passi trazionando gli elevatori, diverse volte, senza risultati apprezzabili: più che gonfiare pare di toreare in modo ridicolo. Mi ritrovo o con i cordini intorno alla gamba, o avvolto completamente dal tessuto. Aspettando momenti migliori, è piacevole osservare l'arrivo in cima delle ultime cordate. Ognuno si trova quassù per realizzare un desiderio personale, per arricchire il bagaglio di esperienze positive, per creare l'alone magico di condivisione anche senza spiegarsi con le parole verso gli altri.
DECOLLO E VOLO
Arriva l'attimo buono, la poca aria che prima infastidiva ora sparisce del tutto, e si parte per un decollo regolare, sorvolando ghiacciaio, morena, rifugio, vegetazione e torrente. Atterro dopo circa un'oretta nell'enorme prato accanto al parcheggio sull'erba ancora madida di rugiada, felice. Nell'attesa del ritorno a piedi dell'amico Beppe immagino che sia piacevole tuffarsi nel torrente, in quell'elemento che più in alto è ghiaccio, che si fa calpestare con i ramponi, e man mano che l'altitudine diminuisce inizia asciogliersi, forma rigagnoli e pozze, si ridistribuisce gratuitamente alla vita. Nel corso del pomeriggio abbiamo fatto un bellissimo bagno nelle sue acque.

 

UN'ALA SU BROSSO



Racconto di Goffredo Carri

A Claudio Aimone , il mio pilota;
a Nicola,che gli ha imprestato il biposto;
a Paolo, autista 30 e lode della navetta "EDEL",
e a tutti ragazzi del Parapendio Club Cavallaria.
Con simpatia.

Una breve uscita mattutina da casa per un pò di spesa, un caffè , il giornale, quattro passi ai giardini nel pomeriggio, un'oretta di televisione alla sera, mal di schiena, la sciatica, degenerazione della retina, problemi di prostata, funzioni mentali ridotte, tono dell'umore piuttosto depresso, coordinazione oculomotoria soggetta ad errori, rapporti sociali pressoche nulli: una vita da vecchio ma vecchio forte. Una non vita. Tutti i giorni eguale. Che merda.
Ma ieri 27 luglio mi è capitata una cosa nuova fiammante , una cosina giovane giovane, che ha del meraviglioso ( ma non per mio merito ).
Ieri sono andato in parapendio, giù dalla Cavallaria , alla non più fresca età di anni settantadue. Il cielo un cielo colore marino era di una dilagante bellezza, e il sole era un'esplosione di luce ed energia. Nuvole sparse si schiudevano come un fiore. Il parapendio creatura alata, flessibile, figlia dell' aria pulsava come un cuore, respirava profondo in un silenzio, sospeso e vibrante. Volava lieve sul verde cupo dei boschi, ondeggiava pian piano, alto su nereggianti pietraie, su scoscesi avvallamenti, su nudità rocciose, su campi verdeggianti.
Nel caldo meriggio ci soffiava in viso il fiato dell'estate.
Orizzonti sconosciuti a chi viaggia in autostrada inviavano messaggi visivi. Ecco Brosso sotto di noi, ecco a dritta Vico, e Montalto Dora e Chiaverano a sinistra, ed ecco la Dora color vetro lucente e, in una lontananza pallida, quasi color giacinto, la piana di Ivrea.
Che vista! Altro che un posto in prima fila.
Paura ? No. Ma emozione tanta. Non saprei dire esattamente quel che provavo nel trovarmi li appeso a centinaia di metri dal suolo. Ero pieno di stupore per la rivelazione di quel panorama stupore abbastanza naturale, visto che dalle mie consuete uggiose stanze ero stato proiettato in una nuova dimensione, a 1500 - 1700 m di quota.
Come è angusto deve essere stata la mia prima impressione come è angusto lo spazio in cui normalmente ci muoviamo e siamo. Dunque - dicevo - ero fortemente sorpreso ma al tempo stesso mi sentivo al sicuro e tranquillo. Per la verità, poichè devo dirla tutta, ero talmente sicuro e tranquillo che allorchè Claudio mi offrì di prendere i comandi io risposi "meglio di no, non vorrei combinare guai". Poi però provai una viratina a destra e una a sinistra, ma timida timida, che non si guasti l'ombrellone. Evidentemente mi percorreva una vena di apprensione.
Ma che devo dirvi, quell'ampiezza, quella vastità d'orizzonti, quella profondità avevano dell'indicibile. Avvertivo di stare vivendo un'esperienza di cui avrei serbato memoria per il resto dei miei giorni. lo ero sempre io, ma con qualcosa in più (non so come dirlo altrimenti).
E poi quel silenzio! Ampio, solenne.
Silenzio antico, ch'era prima che il mondo fosse, che di ogni cosa creata è l'Alfa e l'Omega. Ma guarda. come sono piccole le case, le auto, le strade, da bordo di un parapendio. Come è piccolo - un niente - l'Uomo, visto, o, più esatto, non visto, ad appena tre spanne da terra.
Intendo significare che in parapendio realizzi meglio il senso della dispersione planetaria dell'Uomo, della sua nullità. Si, ma quant'è bella la Terra, vista dall'alto. E' cosa che desta mirabilia. Peccato non potere deporre per sempre laggiù tutti i problemi che ci assillano e il pesante fardello di ricordi non buoni. Mi mancava - chiaro - tutto ciò di cui dovrebbe essere colmo il cuore in parapendio: l'allegria, la gioia di vivere, ma questo sarebbe ben altro discorso, quindi lasciamo perdere.
Però è fantastico. It is magic !
Non sei più rettile, in parapendio.
Uno che striscia sulla terra. Un animale terricolo.
Sei una vela nel cielo, sei albatros , veleggiatore, aliante , navigatore , un vagabondo dei cieli, il continuatore dei coraggiosi che nel Medioevo e nei secoli più tardi si lanciavano da una torre o dalle mura di un castello nel tentativo di volare.
Tu sei il beneficiario di tutta l'esperienza da loro acquisita nel corso degli anni. Tu ne condividi, ne possiedi lo spirito di avventura, ricerca, sperimentazione. Certo che il parapendio bisogna amarlo. So di ragazzi che al parapendio dedicano tutto il loro tempo libero (tempo permettendo) e i loro soldi (magari non tanti) , che si fanno 100-200 km e più di macchina (quindi ore) paghi poi di venti minuti di volo.
La tua vita nelle tue mani.

E chi lo conosce l'impegno di tanti ragazzi per comprarsi il loro parapendio ? E le loro discussioni coi genitori, oddio, mia figlia (figlio) è matta' (matto) !
Ecco, questo è amore. Intuisco infatti come il parapendio possa farti innamorare al punto che quando ci sei sopra per te non esiste più nient'altro nella vita. Come ci si possa sentire proprietario di tutto senza magari possedere niente. Ma perchè questo avvenga bisogna crederci, appunto. Mi informano che in Italia i parapendisti saranno cinque-seimila. Io spero che siano in tanti quelli che lo fanno veramente con passione. Che siano pienamente convinti che esiste altro oltre la scuola, l'ufficio, la catena di montaggio, la promozione sociale, l'ascesa gerarchica, la proprietà di oggetti.
Ben detto, bravo. Ma non è un po' utopia ? Può darsi.
Ma che almeno il parapendio sia una delle possibili vie di fuga dalla monotonia e dagli automatismi della vita quotidiana. Per uscire dai binari. Per vivere se stessi in una dimensione più umana. Per sentirsi più oscuramente uniti al cosmo. Con l'augurio che il parapendio non diventi mai solo abitudine, mestiere, sport con un pizzico di rischio. Ma che sia sempre fantasia, conoscenza, letizia.
Il piacere di inventarsi una vita diversa.
Sul parapendio sei un solitario , un isolato, sei fuori dal formicaio, fuori dall'orda. L'isola deserta nei Mari del Sud non c'è più. E tramontato il tempo del capitano Cook. Per sempre è tramontato. Ma tu, una tua isola deserta te la puoi ritagliare nei cieli. Basta, diceva Henri Laborit, che tu salga sul vascello che ha nome Desiderio. Contrariamente a quello che altri pensavano non mi è servito assolutamente a niente l'essere stato paracadutista durante la seconda guerra mondiale. Lo immaginavo. Di più sapevo solo che non sarei morto dalla fifa. Non altro. D'altronde lo sanno anche i passeri che il paracadute è cosa ben diversa dal parapendio.
Te le sogni le ampie volute sulla cresta dei monti. In paracadute vieni giù e basta. Non "voli". Altra notazione banale, risaputa anche questa: il paracadute, militare era -allora come oggi- uno strumento di guerra, una medusa di morte.
Il parapendio è pace, vita.
Eh, ma sono in gamba, io. Cribbio se sono in gamba. Ascoltate. Forse il parapendio atterrava troppo veloce per le mie gambe, che (ovvio) non sono più quelle di cinquant'anni fa ; o forse si è trattato di semplice non prontezza di riflessi (chiamala semplice, con tutto ciò che essa comporta in deficit psicomotorio: mancanza di controllo del tono e delle funzioni muscolari, imperfetta coscienza globale e segmentaria del proprio corpo, difficoltà di concentrazione e quindi facile distraibilità, e altro) fatto sta che sono venuto giù come un baccalà, giù a peso morto come un sacco di patate sulla mia artrosi lombo-sacrale, ragazzi, ho preso una culata di quelle, !
Beh , comunque ce l'ho fatta.
Quasi quasi ci riproverei.
"Accidenti, hai avuto un bel coraggio, però!" mi è stato detto.
No, no. Nel mio caso, nessun coraggio. Solo un residuo della beata incoscienza dei miei vent'anni.

Goffredo Carri

DEL CORPO E DELLO SPAZIO



Racconto di Goffredo Carri

Non mi ci è voluto molto a capire perchè nel mio volo in parapendio sono atterrato che parevo ingessato. Un viluppo di lacci psicologici, oltre che fisici.
L'argomento è di ordine generale, pertanto mi si consenta un accenno.
Se uno nella vita di ogni giorno è impastoiato, il suo corpo non può sciogliersi liberamente. Sarà sempre, in qualche modo, inceppato. Il nostro corpo è espressione del nostro essere al mondo. Noi siamo il nostro corpo ed esso è il nostro modo di sentire il mondo ed esprime come noi ci mettiamo in relazione col mondo. Cioè il corpo è significato che è in stretta correlazione con ciò che noi avvertiamo del mondo. Tutti i nostri movimenti - della testa, delle braccia , mani, schiena, gambe, e lo sguardo - sono espressione ed hanno un significato semantico, infraverbale come camminiamo, come stiamo seduti, e così via.
E ancora: il posto in cui ci poniamo nello spazio e nei rapporti con l'altro non è mai casuale, posto che si possa scegliere, chiaro.
Conclusione: se siamo disturbati dentro, tutto il nostro comportamento risulterà disturbato. Le nostre possibilità di movimento sono nel cono d'ombra del nostro intrico interiore , e pertanto bloccate. Come succede al mare al bambino in cui è stata indotta la paura dell'acqua, e così il bambino perde la proprietà dell'acquaticità , che pur possiede, e così perde uno spazio, un contenuto d'istruzione. Pensiamo viceversa alla gioiosità che c'è nei movimenti di certi animali (osservare come il movimento si trasmette a tutto il corpo, come non viene arrestato in nessuna parte).
Il volo richiede equilibrio, attenzione, destrezza, stabilità mentale. Se qualcosa vien meno, la faccenda non funziona. Ombre graveranno nei movimenti nel volo. Lo spazio come contenuto d'istruzione, dicevamo più sopra a proposito del bambino. Appunto. Canone fondamentale: ogni realtà è realtà spaziale. Ed è con il corpo e attraverso il movimento che ci si mette in relazione con lo spazio. Detto un tantino più per esteso: è intorno al corpo e dal corpo, cioè in riferimento ad esso che si stabilisce l'organizzazione dello spazio, e questa conquista dello spazio è obiettivata dall'esperienza muscolare e cinestetica (anche la valutazione del Tempo e del vocabolario spazio-temporale - dipende dalla capacità motoria e dal controllo motorio di sè ). A mo' d'esempio sullo spazio come contenuto d'istruzione diciamo che se una termica - ma già una termica insegna - se una termica ti concede di poter intrecciare ampie ghirlande d'aria sulla cresta dei monti, tu puoi vedere le mandrie sugli alti pascoli, le malghe , i precipizi, puoi udire stridere il falco , e gioire sul tuo viso della bontà dell'aria, e mirare in un'acqua specchiarsi l'immagine del parapendio. Cioè tu diventi un ricevente: la pietra, il prato, la valle, il bosco, l' acqua, l' aria, i colori, le nubi ti convogliano informazioni, stimoli sensoriali ripetuti, o impulsi, e questi impulsi non solo parlano al tuo cuore primigenio - l'homo erectus, l'homo abilis, l'homo neanderthalensis, I'homo sapiens sono nostri contemporanei - ma aprono sentieri in tè, costruiscono circuiti, stampano schemi o engrammi nella tua compagine cerebrale, ed è da questi schemi o engrammi che si arricchirà l'immaginazione, madre della creatività.
Cambiamo binario, pur rimanendo nella stessa stazione. Se vuoi andare a Berlino o a San Pietroburgo non prendi il parapendio. Prendi l' aereo. Ma cosa vedi, da 5-8000 metri ? Certo, vedi i grandi fiumi rigare la terra, puoi vedere le vette delle montagne emergere come isole da un mare di nebbia, rilucere il mare, puoi vedere aprirsi la porta del giorno o nuvole fiammee tingere il tramonto, o la terra sommersa dalle nubi. La vista non ha eguali , è fuor di dubbio. Ma troppo veloce è l'aereo. Vedi le cose di fretta, cioè male. Cioè non le vedi. Vedi I'insieme, non vedi le parti. Non distingui l'una dall'altra valle, non vedi la nuvola che varca il monte, non vedi I'ombra giocare con la luce su quel versante, non puoi calibrare le distanze, non puoi ammirare come è scolpita quella rupe , non puoi bere l'incanto di quel torrente che scende a valle.
In parapendio al contrario puoi leggere il terreno quasi metro per metro, come un'arte di cesellatura. Vedi sorpresa, il vantaggio di andare lentamente. In più, ah che respiro! Altro che un posto in prima fila.
Vai, ragazzo! Innumeri fibre ti legano alla natura.
Vai , ragazza! Nel tuo cuore fresca è la vita.
In volo non c'è nessuno che ti rompe le scatole, quindi sei più felice, o almeno meno infelice. Anche solo salire in zona lancio è come uscire da una paralisi , per chi viene dalla città. Nelle città per che cosa si cammina ?
Per andare a scuola, per andare a lavorare, per andare a comprare pane e salame. Quante persone camminano perchè ne hanno effettivamente voglia ? Quante ne farebbero volentieri a meno ? Quante persone camminano con gioia ? In città il più delle volte io non ho nemmeno più voglia di camminare. Non c'è nulla che corrisponda al mio animo. Sulla cima della Cavallaria invece, l'erba l'erica, le genziane, i mirtilli l'aria fresca e chiara, il muschio le rocce - ere geologiche - tutto corrispondeva al mio animo.
Accidenti, come si stava bene !

Goffredo Carri

 

OLUDENIZ - TURCHIA



di Renato Sartore

VACANZA DI VOLO
CON MEDICI SENZA FRONTIERE ...
VOLABILI

Da una proposta timidamente sussurrata in atterraggio, mentre si compie il rito del "ripiegare la vela " al volo sul mare di Olu Deniz in Turchia, il passo nonostante tutto e' stato miracolosamente breve. Olu Deniz ? Si'! In Turchia... sai Enrico mi ha proposto ...viene anche Tommaso ...Aereo-albergo-famiglie in parking, ufficio... tutto sistemato. Inizia il conto alla rovescia. ...

E siamo alla Malpensa che arrotoliamo le vele nel domopack Sai le bambine devono viaggiare sicure!
Via in vacanza con due medici volatili "senza frontiere volabili': Enrico (quarta volta in Turchia) medico di Torino, Tommaso detto Tomaso"" (con un po' di accenti), anche lui della sanità, inventore involontario del tipico decollo.. ..alla Tomaso"'. Niente a che vedere con quello tipico all'italiana o alla francese ...qualcosa di diverso ...un decollo senza frontiere! Tom ha già volato in Francia, Svizzera, Marocco, Grecia, la Reunion.
In vacanza con due medici quasi l'assicurazione sugli incidenti, una formula di garanzia, ...ma Tommaso e' un esperto in autopsie !! Oh!oh! (p.s. È andato tutto bene) Malpensa-Istambul Istambul-Dalaman poi via con pulmino dell'albergo che ci aspetta e che in 45 minuti ci porta ad Olu Deniz. E' quasi buio in questo sabato turco, la strada tortuosa. Ma gli occhi cercano il cie!o e le nuvole, un monito per il domani il mattino successivo lo spettacolo delle montagne e il mare ci da la consapevolezza che ci siamo!
Con la navetta, tuoristrada americano aperto posteriormente ed attrezzato con comodi sedili imbottiti e portapacchi per le vele sul tetto, si parte per il decollo. Si sale per circa 27 km. Verso il Monte Babadag (il monte "padre"), attraverso un parco naturale di secolari cedri dellibano e pini di Aleppo. Il sottobosco di ginepri, i cui aromi salgono con le termiche e li percepisci anche in volo.
l decolli principali sono due.11 primo rivolto a nord a 1950 m t , il secondo a sud 1600 m. Attenzione nello spiccare il volo! l cor- dini dell'ala possono impigliarsi tra rocce taglienti, (avevi ragione Emo attenzione ai cordini!). Poi via lungo il costone, si passa sopra il decollo basso e la termica si fa già sentire. Con pochi giri sei in alto . Superata la cresta, lo spettacolo della baia, della laguna, delle isolette è da mozzafiato. Il colore va dal blu intenso al turchese più brillante del mare, al bianco della spiaggia. 11 tasso di caduta è stranamente basso e in planata tranquilla si sta in aria almeno 45 minuti. Da 1950 m, al mare Cervinia-Albenga! In volo c'è tutto il tempo e la serenità di guardare attorno, lasciare i comandi e fare foto. Si vola sull'altopiano che porta al mare per osservare le capre libere che si nutrono dei cespugli, osservare i ruderi romani o le tombe licie. Oppure facendo il "pieno" in decollo tirare a sinistra ed andare verso la baia delle farfalle o dritto, verso l'isola con il monastero, oltre il promontorio e passare sopra i caicchi turistici e le barche a vela ...nel pieno silenzio. Affascinante è volare sulla laguna di Olu Deniz (che significa mare morto), porzione di mare racchiusa da una lingua di sabbia incastonata di colorati ombrelloni. Qui storicamente, i romani si approvvigionavano di acqua dolce, la zona ne e' ricchissima. Vi lasciarono anche un tempio, ora in rovina . Stupefacente l'organizzazione del posto per noi volatili. E' il paradiso del volo libero. Tutto è in sua funzione. Le compagnie di trasporto in decollo sono 9 ognuna con un certo numero di provetti bipostisti dalle notevoli capacità' (1800 biposti l'anno!).
In decollo ci sono le webcam così in atterraggio. Riprendono costantemente e a volte impietosa mente tutti. Anche se Tommaso tenta di far ricorso alla legge sulla privacy...che in Turchia non è valida. E trasmettono in diretta, sui grandi schermi del "cloud9'; bar della spiaggia, locale gestito da Kadri, organizzatore del festival dell'aria di ottobre 2002, e ritrovo dei parapendisti. Spettatori occasionali, accompagnatori, addetti ai lavori sono costantemente informati sugli eventi in decollo e atterraggio.
Il tutto è registrato e alla sera puoi rivedere, seduto davanti ad una birretta, il riassunto delle peripezie con relativi aned- doti sulle manovre ...irregolari. Morale non si possono raccontare "balle" all'amico di turno sul decollo poco ortodosso, ritorni al pendio inesistenti, incidenti evitati in extremis grazie alla perizia del pilota investito da una raffica improvvisa quanto birichina. (Vero Tommaso?). Tutto registrato, tipo processo di Biscardi.
Atterrando in spiaggia i ragazzini ti rincorrono, ti prendono vela ed imbrago e per pochi soldini ti puliscono il tutto dalla sabbia e ripiegano. Nel frattempo ti fai un bel tuffo in mare o ti bevi una coca. Non male! Il paese è tranquillo e pulitissimo, lavano i marciapiedi due volte al giorno. Non c'è una cicca per terra e...qui fumano come turchi! Ma siamo in Svezia ?..No! In Turchia!
Ristorantini con simpatici camerieri che si sforzano di parlare italiano, il cibo ottimo. Una vacanza con i fiocchi con i miei amici medici senza frontiere... volabili. Enrico l'organizzatore, Tommaso il francofilo, Livio di Albenga incontrato casual- mente in decollo, anche lui in vacanza con la moglie (volo e mare per accontentare entrambi). Ciao Livio parapendista del Tigullio, il raschia costoni, abitudine-obbligo delle sue parti. Grazie a tutti! E che si possa ripetere con questa semplice serenità nella cornice di uno spettacolo naturale come quello di Olu Deniz. Non ci serve altro.

 

Turisti per caso
di un viaggio a Maggio... senza pretese ma con grandi risultati
di Renato Sartore



Quando l'idea?
Non ricordo esattamente quando o perchèci venne in mente l'idea di questo viaggio. Forse una tra le tante con i programmi che ogni volta che ci si vede o si telefona viene espresso: voli in montagna, il viaggio in Africa. .. No, non ricordo proprio... forse anche dargli una datazione non mi importa più di tanto. Quello che vorrei è che nessuno di noi partecipanti si scordasse questa esperienza. Forse solo ora che è terminata ci sentiamo coscienti di quello che abbiamo vissuto.
Dove?
La Sicilia, quest'isola così vicina ma per tanti così lontana è stata la meta. La Sicilia è una regione meravigliosa come i suoi abitanti. Non avrei mai detto di andarci, io così presuntuoso, ignorante, pieno di preconcetti.
Con chi?
Partecipanti: club "Voi au Vent" della Vai Pellice e club "Sparavel" di Ivrea Hanno condiviso questa sperienza e dimostrato come tra club si può fare molto dimenticando tutte le stronzate che anche l'attività volo-liberistica si porta dietro, cercando solamente il bello. ..per tutti!
Organizzazione "Fly Tour"
E così finalmente si parte. Appuntamento alI'aereoporto di Caselle a Torino: tutti increduli, il viaggio in Sicilia è cosa vera! Appena arrivati il pulmino dell'Accademia Siciliana Volo Libero di Adriano Patti, l'istruttore di parapendio che organizza il tour, è già lì ad aspettarci. Sì perchè Adriano organizza tutto: trasporto da e per l'aeroporto, albergo, gite anche per i non volatili accompagnatori (mogli, figli, amici). . Siamo stupiti dell' assoluta mancanza di preoccupazioni, niente problemi di taxi, bus, o altro... c'è Adriano sempre... no problem, no sbattimenti, no rotture c'è Adriano... abbiamo scelto le spiaggie e i ristoranti (sempre di pesce) seguendo i suoi consigli. La vacanza è stata favolosa e ottirnamente strutturata in tutti i sensi; la consiglio anche agli accompagnatori, infatti ha partecipato anche mia moglie che di volo proprio... non aveva mai visto un parapendio in decollo. .. Bene, non ha rotto e non si è mai lamentata (è uno dei miracoli della Sicilia. ..) anzi, si è molto divertita: nuotate, tanto sole e il primo volo in biposto da monte Kumeta a San Cipirrello andata e ritorno. ..il tutto offerto dal super Adriano. ..
Costo?
Onestissimo. ..Cosa devo dire di più?
Cronaca?
Fame una cronaca, un resoconto che possa farvi consapevoli di questa esperienza non è cosa facile, rischio di essere riduttivo. Ma i posti meravigliosi che Adriano, istruttore di volo di Palermo, ci ha mostrato meritano uno sforzo. E non soltanto luoghi di volo, ma bellezze artistiche di tutte le epoche e testimonianze dei popoli che hanno conquistato quest'isola. Devo quindi incidere questo foglio con un po' di timore reverenziale e in ogni caso non darò onore al merito, non dirò abbastanza.
I voli
Decolli per tutti i gusti e per tutti venti, per tutte le ore: da monte Kumeta, Montagna Grande, Pollina, Rocca Busamhra, Cefalù, a Pizzuta soaring meraviglioso lungo le scogliere... Paesaggi incantevoli e rilassanti, panorami amichevoli. .. Con assistenza al volo di Adriano e del suo amico, Claudio Aimone anche lui istruttore (scuola Sparavel), tanto che persone con scarsissima esperienza si sono girate termiche pensando che Rohhhie W. (leggi Rohhie con tre "h", come da pronuncia di Adriano) è sicuramente emulabile... (calma pollo!).
Personaggi
Cordiali i volatili della zona e non, che si sono uniti a noi: da Alessandro, allievo (che vola da esperto), a Franco a Gianni a Matteo, Carrnen e la CO 2, Ezio e Rino il Toscano che vola con il segnaenniche (attrezzo di sua invenzione...mi sa' di acchiappa-fantasmi, ma lui dice che funziona... e se lo brevettasse?). Mirnmo con il suo ristorante di pesce che ancora sogno. E tutti gli altri, di cui dimentico il nome ma non il volto.
Grazie
...di cuore ad Adriano Patti che per noi si è fatto un mazzo tanto. .. Non è così facile trovare una persona che fa del suo lavoro ùna passione intensa e viva, correlata da una profonda conoscenza della sua terra e della aerologia dei singoli luoghi, mettendo ogni volta tutto in discussione, provando il volo per primo. E non scorderemo il gesto di non uccidere lo zanzarone che entrò nel pulmino (bianca casa mobile per la settimana), ma lo accompagnasti con delicatezza alla ricerca del finestrino (non credo a questa gentilezza solo perchè anche lui volatile. ..). Non dimenticheremo i racconti di vita nelle campagne al tempo dei feudi siciliani, i racconti dei tuoi primi voli e la storia delle neviere, i freezer dei nostri nonni, così come il profumo intenso dei fiori e degli alberi con i loro colori. Grazie all'ospitalità del Residence S.Giorgio alla Piana degli Albanesi, gestito da appassionati di volo e alla vicina pasticceria dove, a causa della bontà dei cannoli siciliani fatti al momento, qualcuno (leggi Elmer) decollando da Monte Kumeta pensò bene di atterrare lì vicino. ..contando sul sicuro recupero. ..

Ma quando si torna? ...a ottobre? ...ma quanto manca? Andate a trovare Adriano, mi piacerebbe obbligarvi!




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