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Giurisprudenza

 

Corte di Cassazione, sentenza 10 febbraio 2005, n. 2706, causa: Molon contro Funivie Valdaora S.p.A.
In una pista di sci frequentata da utenti dei più diversi livelli di capacità tecniche sono prevedibili la perdita dell'equilibrio e i movimenti incontrollati che ne derivano, sicché, ai fini della configurabilità di una responsabilità per custodia del gestore dell'impianto di risalita, essendo tutti gli ostacoli che vi siano posti astrattamente pericolosi, va verificata in concreto la esclusione della pericolosità, in base alle caratteristiche degli stessi sia del materiale adoperato (nella specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito per non aver adeguatamente considerato che anche in una pista di lieve pendenza ed agevole tracciato, dotata di buona visibilità, l'esistenza di una recinzione sostenuta da paletti di legno non imbottiti può costituire, atteso lo stato dei luoghi e l'utilizzo della pista anche da parte di sciataori inesperti, un pericolo idoneo a provocare lesioni allo sciatore)" )

Corte d'appello di Trento, sezione di Bolzano, sentenza 18 aprile 2005, causa: Di Cunzolo contro Fisi Scuola Sci & snowboard Ortisei.
In caso di infortunio sciistico,spetta all'allievo l'onere di provare la negligenza del maestro, l'erroneità o l'inadeguatezza della prestazione professionale ricevuta, nonché, oltre al danno, anche il nesso causale tra la colpa e il danno, mentre sul professionista grava l'onere di provare l'adeguatezza del proprio operato, oppure che l'imperfetta esecuzione della prestazione è dovuta a caso fortuito o forza maggiore" (Corte d'appello di Trento, sezione di Bolzano, sentenza 18 aprile 2005, causa: Di Cunzolo contro Fisi Scuola Sci & snowboard Ortisei).

Cassazione, 13 gennaio 1993 - n.356
"La particolare responsabilità del vettore prevista dall'art. 1681 si applica anche al trasporto per seggiovia e si protrae fin quando non vengono meno gli effetti sul viaggiatore del moto impressogli dal mezzo al momento della discesa da esso"

Il contratto di sciovia può essere qualificato come contratto innominato e solo in certi limiti è avvicinabile al trasporto di persone. Non di meno, trattandosi di contratto, in caso di illecito, verrà in essere una responsabilità contrattuale (T. Bolzano, 11-08-1980 - Lohmeier Kagerer - Az. cura soggiorno Colle Isarco - Resp. civ., 1981, 93 - Arch. circolaz., 1981, 358 - c.c., 1681 - Foro it., Rep. 1981, voce Trasporto (contratto di), n. 17).

Il contratto di sciovia, caratterizzato dalla necessità che l'utente sia in possesso di una adeguata preparazione sportiva e presti un'attiva ed attenta collaborazione al fine di realizzare un trasporto senza incidenti, non riveste gli estremi di un normale contratto di trasporto di persone disciplinato dall'art. 1681 c.c. (A. Roma, 02-12-1981 - Soc. Itif - Forti - Riv. dir. sport., 1982, 69 - c.c., 1681 - Foro it., Rep. 1982, voce Funicolare, n. 2).

Il contratto stipulato con il gestore di un impianto di risalita riguarda il servizio di trasporto a monte e non si estende alla successiva discesa effettuata dallo sciatore (T. Torino, 23-04-1987 - Prisco - Soc. impianti seggiovia Sportinia - Arch. civ., 1988, 700 - Riv. dir. sport., 1988, 263 - Foro it., Rep. 1988, voce Responsabilità civile, n. 90).

Il trasporto di sciatori a mezzo di seggiovia rientra nella fattispecie del contratto di trasporto a titolo oneroso; (T. Bolzano, 22-05-1987 - Gotthard Wolzenburg - Schwalstaler Gletscherbahnen - Resp. civ., 1988, 487, n. CHIAVEGATTI - c.c., 1681 - c.c., 2049 - Foro it., Rep. 1988, voce Trasporto (contratto di), n. 12). Si è anche affermato che l'azione diretta accordata al danneggiato nei confronti dell'assicuratore concerne soltanto i danni derivati da sinistri verificatisi su strada adibita ad uso pubblico, (T. Palermo, 01-12-1983 - Soc. Costagliola marmi - Le assicuraz. Nazionali - Riv. giur. circolaz. e trasp., 1984, 706 - l. 24-12-1969 990/1969 - Foro it., Rep. 1985, voce Assicurazione (contratto), n. 173).

Per gli incidenti occorsi lungo piste di discesa, il gestore dell'impianto di risalita non può essere ritenuto responsabile perché‚ il contratto riguarda il servizio di trasporto a monte (A. Trento, 28-02-1979 - Dietmar - Soc. Piz de Sella - Resp. civ., 1980, 706 - Foro it.1981, voce Trasporto marittimo, n. 31).

Il contratto di sciovia non può essere qualificato come contratto di trasporto di persone in quanto manca del carattere essenziale della prestazione di quest'ultimo, vale a dire l'affidamento (T. Bolzano, 11-08-1980 - Lohmeier Kagerer - Az. cura soggiorno Colle Isarco - Resp. civ., 1981, 93 - Arch. circolaz., 1981, 358 - c.c., 1681 - Foro it., Rep. 1981, voce Trasporto (contratto di), n. 17).

Il contratto di sciovia non riveste gli estremi di un normale contratto di trasporto di persone (A. Roma, 02-12-1981 - Soc. Itif - Forti - Riv. dir. sport., 1982, 69 - c.c., 1681 - Foro it., Rep. 1982, voce Funicolare, n. 2).

Il trasporto di sciatori a mezzo di seggiovia rientra nella fattispecie del contratto di trasporto a titolo oneroso; è inoltre ravvisabile una responsabilità extracontrattuale ex art. 2049 c.c. dei dipendenti addetti agli impianti (T. Bolzano, 22-05-1987 - Gotthard Wolzenburg - Schwalstaler Gletscherbahnen - Resp. civ., 1988, 487, n. CHIAVEGATTI - c.c., 1681 - c.c., 2049 - Foro it., Rep. 1988, voce Trasporto (contratto di), n. 12).

 
Sentenza n. 332 dep. il 26/04/1995 - Pretore di Pordenone

Il caso sottoposto all’odierno vaglio giudiziale, in verità di lettura assai più semplice di quanto Ia “mole” del fascicolo per il dibattimento e la lunga istruttoria potrebbero lasciare intendere, presenta analogie con quello esaminato dal pretore di Aosta, che, con sentenza n° 64 del 26 febbraio 1990, ha ritenuto che “nel caso di lesioni subite da sciatore che, scendendo lungo una pista da sci, a seguito di caduta, era andato ad urtare contro un pilone di sostegno di impianto di risalita, in mancanza di più specifiche norme, trova applicazione la valutazione generalmente dettata dall’art. 43 c.p. in relazione, ai reati colposi”, aggiungendo ed affermando i seguenti principi, che questo giudice ritiene di condividere, così anticipandosi le conclusioni dell’iter logico seguito:

* A) “A carico del responsabile di una pista da sci, stante la particolarità del settore e le peculiarità tecniche, è orientativamente ipotizzabile la colpa per imperizia, configurabile nell’osservanza del dovere giuridico di osservare le regole di condotta che tendono a scongiurare eventi dannosi prevedibili secondo la miglior scienza ed esperienza del momento storico e dello specifico settore”.

* B) “In capo al responsabile sussiste il dovere di preparare e mantenere una pista, predisponendo adeguati sistemi di sicurezza secondo il grado di difficoltà commisurata all’abilità degli utenti cui è consigliata. Il grado di difficoltà della pista va individuato secondo la regola cromatica consigliata dal “decalogo dello sciatore” (F.I.S. Beyrouth 1967) normalmente utilizzata nelle stazioni sport invernali”.

* C) “Nessuna cautela è necessaria in relazione ai pericoli evidenti che lo sciatore, con la sua capacità, è in grado di fronteggiare (omissis)”.

Senza avere nessuna pretesa di offrire una visione esaustiva e definitiva dei problemi giuridici, talvolta di non facile soluzione, connessi alla disciplina sportiva dello sci alpino (che d’ora in avanti, per semplicità, verrà definito “sci” puramente e semplicemente), c’è una questione che va immediatamente chiarita e dalla quale non si può assolutamente prescindere nell’affrontare i problemi che ci occupano, e ciò in dissenso con quanto il P. M. e la parte civile hanno ritenuto, intendendo forse trasferire, in subiecta materia, una logica giuridica più appropriata alla valutazione della responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni occorsi ai propri dipendenti.

Lo sci è una disciplina sportiva, la cui pratica, in quanto tale, deve essere non solo tollerata ma anzi incoraggiata ed il più possibile favorita dal legislatore e dall’interprete in forza del dettato dell’art. 2 dalla Costituzione, ben poco rilevando che, ai fini del suo esercizio, della sua propaganda in specie tra i giovani e nelle scuole, siano sorte organizzazioni in forma d’impresa che, “sfruttando” il fenomeno, sempre più diffuso nella nostra società -si può certamente definire al giorno d’oggi lo sci uno “sport di massa” quanto meno in certe regioni d’Italia- lucrino guadagni sovente non indifferenti (si pensi a tutto l’indotto dello sci, agonistico o meno, e in particolare, a mo’ di esempio, alle sponsorizzazioni, ai servizi di tutti i tipi esistenti nelle località sciistiche ecc..).

Lo sci è peraltro uno sport tecnico che, come altri (si pensi ad esempio alla “vela”, alla “pesca subacquea”, al “paracadutismo”, all’“alpinismo”e l’elenco potrebbe proseguire), ha una sua peculiarità, vale a dire viene praticato in un ambiente naturale qual è, nella specie, la montagna e, quindi, in ben specifiche condizioni che sono ovviamente note a chi vi si accosta.

Insomma, chi va a sciare lo fa -e vuol farlo, attenzione- “in montagna” e, quindi, a diretto ed immediato contatto con la natura, all’aria aperta, in mezzo ai boschi, tra le rocce, godendo magari accostandosi ad un dirupo di panorami sublimi ed impareggiabili, preclusi a chi (come lo stesso giudicante, purtroppo) quello sport non pratica.

Da tutto ciò non si può prescindere in alcun modo, sarebbe la fine di questo sport.

Chi va a sciare, poi, desidera anche una certa “ebbrezza”, vale a dire quella “eccitazione” che deriva dallo scendere, anche ad una certa velocità, lungo le piste innevate in quel contesto naturale che si è inteso delineare, e quindi, di conseguenza, anche un certo margine di “rischio”.

Anche questa è una componente essenziale di questa attività sportiva e, come bene ha detto il Pretore di Aosta nella già citata sentenza, “… contribuisce a conferirle il suo fascino peculiare e a scatenare nello sciatore quella girandola di emozioni che appaga la sua passione”.

In altri termini, se lo sci non avesse insito proprio un certo rischio, non fosse un po’ “pericoloso” , così come del resto accade in tutte le discipline che si praticano a contatto con la natura (ma non solo in queste, si pensi all’automobilismo), molti verosimilmente -questa è l’opinione del giudicante- non lo praticherebbero neppure: l’uomo sciatore, come in genere l’uomo che pratica lo sport, vuole misurarsi con se stesso e con gli altri, migliorarsi, vincere talvolta la natura e i pericoli che in questa sono insiti.

Se lo sci fosse praticato in ambienti asettici, su piste lisce come tavoli da bigliardo, ancora una volta l’essenza di questo sport verrebbe del tutto snaturata: lo chiameremo forse con un altro nome ma sci non sarebbe più.

 

 

Sentenza n° 79 del 28/01/1997 della Corte d’Appello di Trieste

IN DIRITTO

Osserva questa Corte che, pur trattandosi di un incidente sciistico, e cioè inerente ad un avvenimento squisitamente dinamico, dato il pacifico svolgersi dei fatti, tutto il problema fondamentale della vicenda processuale si dipana lungo la strada, non ancora ben percorsa, della normativa vigente in materia.

Pacifico essendo l’accaduto, si deve esaminare se dello stesso possano essere tenuti responsabili i tre imputati, ovvero uno solo di essi.

L’addebito loro contestato è quello di una “culpa in omettendo” consistente nel fatto di non aver provveduto a munire dei debiti ripari i bordi della pista “Salomon”.

E’ del tutto certo che lo sventurato P. cadde all’interno della pista e non già al di fuori di questa e che abbia poi proseguito il proprio movimento verso il basso, deviando in direzione del bordo del tracciato anche, ma non solo, per effetto dalla ricordata pendenza laterale presente sul posto con una inclinazione pari a circa il 10%.

Anche su ciò “nulla quaestio”.

Una caduta dagli sci è un avvenimento del tutto normale anche fra i campioni e, quindi, non meraviglia che accada al “turista della domenica”.

Non deve perciò sembrare strano che il P., che campione certamente non era, abbia finito, anche lui, col perdere l’equilibrio, rovinando al suolo.

Si tratta, ora, di esaminare di che cosa gli imputati possano essere giudicati colpevoli.

Non certamente della caduta, per i motivi sopra visti.

Non di una particolare difficoltà o pericolosità della pista, contraddistinta da un cartello rosso, e quindi indicata a sciatori di una certa abilità, come risulterebbe essere stato il P.

Va premesso, per chi ne abbia una sia pur minima esperienza, che tutte, o quasi, le piste da sci, sono per lunghi tratti, fiancheggiate da formazioni boschive.

Ciò, indubbiamente costituisce un pericolo, come lo è quello di circolare in automobile o altro ma tale forma di pericolo, più o meno, fa, per così dire, parte del gioco.

Al proposito va ricordato che la normativa, carente, oggi come allora in tutto il mondo, non prevedeva obbligo alcuno di predisporre dei ripari sui bordi, come non li prevede la L. Reg. 26/91, non ancora operativa il giorno del sinistro.

Quanto ai massi che causarono la morte del P., va rilevato che gli stessi non si trovavano già al limite della pista o fuori di esso, ma all’interno del bosco, sia pure di poco.

In conclusione, si può dire che, nel caso, non vi fu violazione di norma contrattuale, avendo la P. s.p.a. adempiuto al proprio obbligo, trasportando gli sciatori verso la cima, mettendo quindi a loro disposizione un tracciato preparato per la bisogna, come era quello della pista “Salomon” quel giorno.

Secondo questo Collegio, non può neppure dirsi che violata fu una norma extra contrattuale come quella generale del “neminem ledere”.

La P. s.p.a., infatti, come accertato, metteva a disposizione degli sciatori delle piste perfettamente battute, senza pericoli all’interno del tracciato e, in alcuni punti, fiancheggiate da formazioni arboricole come tutte le piste del mondo.

Una responsabilità extra contrattuale si sarebbe potuta determinare se un qualche imprevisto ostacolo o trabocchetto vi fosse stato all’interno del tracciato in modo tale da sorprendere inaspettatamente gli sciatori, potendo, in ultima analisi, essere causa di infortuni.

Non è, invece, accoglibile la tesi dell’appellante procuratore circondariale di Pordenone laddove afferma che, nella pratica dello sci, deve essere richiesta una assoluta sicurezza.

Tale tesi non può essere condivisa prevedendo lo sci, come qualsiasi altro sport, più o meno, l’accettazione di una maggiore o minore parte di rischio.

Ne è poi vero quanto dallo stesso appellante affermato che, cioè, la piccola pendenza laterale aveva portato il P., a seguito della caduta, “inesorabilmente” verso il bosco.

La pendenza laterale, infatti, era sicuramente inferiore a quella dell’asse mediano della pista e, come detto, si presentava nella misura assai ridotta del 10%, tale quindi da essere agevolmente controllata da uno sciatore uso a percorrere piste “rosse” il quale, da terra, può facilmente mettere gli sci paralleli verso valle, fermandosi in breve spazio.

Evidentemente il P. volle aumentare la quota di rischio andando intenzionalmente quanto inutilmente e imprudentemente a rasentare il bordo della pista talché, cadendo, si vide in pratica immediatamente proiettato nel bosco.

Questa è l’unica tesi accettabile sulla dinamica dell’incidente.

Se lo sciatore non ebbe tempo di porre in essere alcuna manovra che lo tenesse in pista altro, non si può affermare se non che lo stesso si trovava a rasentare il limite della pista.

A tale punto, terminando la sua corsa che, come accertato testimonialmente era piuttosto veloce, quindi, imprudente data l’ora mattutina che rendeva la neve dura e veloce e la totale mancanza di conoscenza del percorso da parte del P., costui non poteva che finire proiettato fuori dei margini e, quindi, nella zona boschiva nella quale correva il grave rischio di un impatto del capo contro un masso o, con uguale nefasta efficacia, contro un tronco.

Appare evidente che, una volta che il titolare della concessione di pista ha predisposto l’impianto di risalita e il terreno in discesa nel rispetto dei canoni che la tecnica sciistica impone, allo stesso non potrà farsi carico della colpa posta in essere dallo sciatore.

Tutte le piste del mondo sono, per la massima parte del loro sviluppo, limitate da alberi e spesso proprio abbattendo degli alberi le piste vengono ricavate.

Ciò non significa affatto che per renderle sicure al 100%, dato, poi, meramente teorico, si debbano abbattere tutti gli alberi delle foreste.

Tre sono quindi le possibilità e cioè violentare totalmente la natura abbattendo tutti gli alberi, il che è assurdo, contenere tale abbattimento tracciando delle piste limitate da zone boschive, oppure vietare del tutto la pratica dello sci.

Una sola è la soluzione logica e non occorre un grande sforzo di fantasia per capire quale sia delle tre.

Per dimostrare la pericolosità della “Salomon” sono stati prodotti in giudizio duecento certificati medici relativi da altrettanti infortuni subiti da sciatori.

Ciò non ha il minimo valore probatorio.

In sostanza è come se, volendosi dimostrare la colpa di un taxista di New York in un incidente, si producessero duecento verbali di eccesso di velocità.

Ciò lascerebbe e lascia il tempo che trova.

Da nessuna delle indagine svolte, ivi comprese quelle di natura tecnica, si è riusciti a trarre un solo elemento che dimostrasse l’affermato nesso di causalità fra condotta assertivamente colposa dei tre odierni imputati e l’evento di morte.

Nessuna indagine, del resto, è stata in grado di affermare l’idoneità della pista “Salomon” alla pratica dello sci, o meglio un limite evidente vi era e vi è: quello della idoneità del singolo sciatore ad affrontarne le difficoltà che la fanno diventare una pista “rossa”.

Gli impianti della “P. s.p.a.” erano stati visitati e ritenuti idonei alla pratica dello sci.

Alla domanda se la morte del P. costituisse un evento prevedibile, la risposta da dare è una sola: entro ragionevoli limiti lo era come quella di un ciclista o di un pugile.

Ciò, però, non basta a vietare la pratica di alcuno di tali sport.

Il P. G. affermava, ancora, nei suoi motivi che è necessario porre dei ripari nei punti più pericolosi della pista.

Ciò è relativamente vero e vale nel caso di eventi nei quali è obbligatorio scendere a valle al massimo della velocità, senza rallentare e porre in essere manovre di sicurezza come quelle abitualmente adoperate dagli sciatori turisti, quale era il povero P..

Può, per altro, anche ritenersi che un tale criterio sia applicabile agli eventi non agonistici, ma di certo ciò vale limitatamente alle zone poste all’interno della pista in caso di ostacoli veramente pericolosi, come un pilone di seggiovia o simili.

Di nessun rilievo, ancora, va ritenuto il fatto che nel 1994 vi fosse stato a Piancavallo un altro incidente, nessun rapporto di causa avendo lo stesso con l’evento in esame.

In conclusione, la mancanza del sia pur minimo elemento di colpa a carico degli imputati, gli stessi dovevano essere sciolti dall’addebito con la già adoperata formula perché il fatto non costituisce reato.

Le spese del grado andranno compensate tra le parti.

P.G.M.

visto l’art. 605 C.P.P.

conferma

la sentenza del pretore di Pordenone in data 22/03/1995 appellata dal P. M. circondariale di Pordenone e dalle parti civili G. R. A. per sé e per la figlia minore P. M. C. nei confronti di D. Z. P., R. G. e S. R.

Compensa le parti delle spese del presente grado del giudizio.

Assegna il termine di giorni trenta per il deposito della sentenza.

 

Vedi anche:
Cass. 23 maggio 1997, n. 4607 (I, 2470): natura del contratto di risalita in seggiovia e non responsabilita' del gestore per danni successivi all' arrivo

Istanza Emessa il 16.12.2005 N. 860/05 Re.Ge. G.d.P.
Procura della Repubblica
presso il Tribunale ordinario di Bolzano
RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE
- artt. 5, comma 2, 17, 34 commi 1e 2, D.Lvo 274/2000; artt. 408,411 e 415 c.p.p.; art. 125 D.L.vo n. 271/1989 -

Al Giudice di Pace di
B O L Z A N O
Il Pubblico Ministero dott. Cuno TARFUSSER, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bolzano,
L E T T I
gli atti del procedimento penale iscritto a carico di XX per il reato di cui all’art. 590 c.p. a seguito di querela sporta da YY,
R I T E N U T O C H E
Il presente procedimento trae origine da una querela sporta dal YY per un incidente sciistico occorso a quest’ultimo in data 28.03.05 sulla nota pista "Saslong" a Selva di Val Gardena.
Dalle indagini espletate, come compendiate nella relazione dd. 21.09.05, appare incontestato che la caduta del YY è avvenuta nel corso di una discesa con gli sci, su una pista che si presentava ghiacciata e che lasciava intravedere alcuni sassi sporgenti dalla neve (cfr. s.i.t. di B.P. e A.A.), uno dei quali sarebbe stata la causa della caduta dell’odierno querelante.
1. La posizione di garanzia
La responsabilità per colpa imputata in querela al XX presuppone una causalità di tipo omissivo colposo per non aver impedito l’evento che egli avrebbe dovuto impedire, ai sensi dell’art. 40 c.p., nel suo ruolo di rappresentante legale della società Funivie Saslong s.p.a., società che gestisce la pista denominata "Saslong".
Il requisito extracausale dell’obbligo di impedire l’evento è inteso dalla giurisprudenza sia alla luce della concezione formale, come rinvio alla fonte legale o ad altre fonti di produzione normativa riconosciute dall’ordinamento (Cassazione, Sezione terza, 16.05.00; Sezione quinta, 18.4.1996; Sezione quarta, 12.7.1994; Sezione prima, 21.9.1992; Sezione quarta, 4.4.1984; Sezione prima, 13.12.1983; Sezione terza, 24.2.1967; App. Milano, 4.8.1999), sia alla luce della concezione sostanzialistica propria della dottrina delle posizioni di garanzia (Cassazione, Sezione quarta, 1.12.2000; 7.11.2000; 12.10.2000; Sezione sesta, 17.10.1994; Trib. Sondrio, 23.10.2000) in tema di produzione di rischio (Cassazione, Sezione quarta, 1.10.1993; 31.10.1991) di omessa eliminazione di una fonte di pericolo (Cassazione, Sezione quarta, 18.11.1997; 15.11.1986) di assunzione di responsabilità per attività precedentemente svolta (Cassazione, Sezione quarta, 21.8.1990) o, più ampiamente, per una situazione di fatto che comunque origini un obbligo di attivazione (Cassazione, Sezione quarta, 22.3.1995 e 13.6.2001). Nel caso di specie la posizione di garanzia a carico dell’esercente degli impianti di risalita scaturisce dal contratto di trasporto stipulato con gli utenti della sciovia con la società che gestisce l’impianto e che impone che il trasporto abbia luogo in condizioni di sicurezza (cfr. Cass. Pen. 21.06.2004 n. 27861).
Tale obbligo è specificato poi nella legge e precisamente nella legge 24 dicembre 2003, n. 363 ("norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo"), ed in particolare nell’art. 3, il quale così dispone: "i gestori delle aree individuate ai sensi dell'articolo 2 (le aree sciabili attrezzate) assicurano agli utenti la pratica delle attività sportive e ricreative in condizioni di sicurezza, provvedendo alla messa in sicurezza delle piste secondo quanto stabilito dalle regioni. I gestori hanno l'obbligo di proteggere gli utenti da ostacoli presenti lungo le piste mediante l'utilizzo di adeguate protezioni degli stessi e segnalazioni della situazione di pericolo. I gestori sono altresì obbligati ad assicurare il soccorso e il trasporto degli infortunati lungo le piste in luoghi accessibili dai più vicini centri di assistenza sanitaria o di pronto soccorso, fornendo annualmente all'ente regionale competente in materia l'elenco analitico degli infortuni verificatisi sulle piste da sci e indicando, ove possibile, anche la dinamica degli incidenti tessi. I dati raccolti dalle regioni sono trasmessi annualmente al Ministero della salute a fini scientifici e di studio. Salvo che il fatto costituisca reato, la violazione delle disposizioni di cui al primo periodo del comma 2 comporta l'applicazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 20.000 euro a 200.000 euro ".
Conclusivamente, il responsabile di una pista di sci, e nel caso di specie il XX (o altra persona da quest’ultimo eventualmente delegato), ha il dovere di preparare e mantenere una pista predisponendo adeguati sistemi di sicurezza secondo il grado di difficoltà commisurata all’abilità degli utenti cui è consigliata. Tale dovere del gestore è stato specificato, in modo sintetico ma denso di significato, nella citata sentenza della Suprema Corte del 2004 nell’assicurare "la garanzia della sicurezza della pista attraverso la costante battitura e la continua manutenzione, affinché non presenti insidie e trabocchetti. Deve trattarsi comunque di sicurezza interna alla pista, non assoluta, in quanto lo sci si svolge comunque in uno scenario pericoloso, per essere i percorsi contornati da alberi, …rocce, pendii, …dipendenti da situazioni naturali".
2) La prevedibilità e la mancanza di evitabilità dell’evento
Secondo una giurisprudenza non recente (cfr. tra le altre Cassazione, Sezione quarta, 14434/90; 5288/86; Sezione quinta, 10 dicembre 1982, imp. Trezzi), una volta accertata la condotta antigiuridica dell’agente ed il nesso causale con l’evento, ai fini dell’affermazione della colpa ex articolo 43 c.p. non è necessario accertare anche la prevedibilità dell’evento, tanto che la previsione di esso costituisce soltanto un elemento accidentale aggravante del reato. Secondo invece la dottrina e la giurisprudenza più recente, presupposto perché la condotta del soggetto agente possa rilevare nei termini del reato colposo, è da una parte la "rappresentabilità" o "prevedibilità" dell’evento, intesa non come "rappresentazione" o "previsione", ma come possibilità di rappresentazione o di previsione, ovvero potenziale attività psichico-intellettiva dell’agente; dall’altra la "prevenibilità" o "evitabilità" sempre dell’evento; giacché il risultato che il soggetto non è in grado di impedire non gli può essere posto a carico, rappresentando nei suoi confronti una mera fatalità. Già sotto questo profilo, si ritiene che debba andare esente da ogni responsabilità penale il XX, il quale se può essere nella condizione di prevedere che in certi punti della pista possa formarsi per uno sbalzo di temperatura o per lo smottamento della neve dovuto al passaggio di diversi sciatori del ghiaccio o l’emersione di sassi o erba, e che ciò possa comportare il rischio concreto della caduta degli utenti-sciatori (vedi Cassazione, Sezione quarta, 6 dicembre 1990, "Ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla specifica rappresentazione ex ante dell’evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta la sua gravità ed estensione" ), egli diventa onerato di prestazioni giuridiche materialmente inesigibili: non si può pensare infatti che ci sia un obbligo di fare andare i cannoni spara-neve continuamente, sia durante il giorno che di notte, così come non sarebbe possibile che all’ora di punta (ore 13.00 nel quale si è verificato l’incidente) su una pista stretta qual è la "Saslong" debbano passare continuamente i cd. "gatti" della neve per fresare perfettamente la superficie nevosa.
L’evento di cui si duole il YY non era dunque evitabile da parte del gestore dell’ impianto di risalita.
3. La rilevanza del concorso di colpa del YY
E’invece insito nel concetto di discesa e nella pratica dello sci che ci possano essere lungo la pista sassi o lastre di ghiaccio.
Così come è fatto noto a chi pratichi tale sport che esistono diversi gradi di difficoltà della pista, individuati secondo la scala cromatica consigliata dal "Decalogo dello sciatore" (dalla più agevole- psiat verde- alla più impegnativa – pista nera). Orbene, la Saslong "A" è, per gli addetti ai lavori, una delle più "nere", se ci fosse una gradazione anche di tale colore.
Ad escludere la responsabilità dell’indagato vale dunque la condotta imprudente della persona offesa, che ha interrotto il nesso causale ex articolo 41 comma 3 c.p. Il YY innanzitutto non doveva seguire il percorso cd. "A" della Saslong, se non era sciatore esperto ad affrontare l’impegnativa discesa. In secondo luogo, se invece fosse stato sciatore esperto, come sostiene l’A.A., doveva mettere in conto la possibilità che nel primo pomeriggio del mese di marzo, in un giorno dalle polari temperature, vi fossero pericoli occulti del percorso e che la battitura della pista avrebbe potuto non reggere al passaggio incessante di centinaia e centinaia di sciatori i quali inevitabilmente avrebbero prodotto dei danni alla pista; e conseguentemente moderare la sua velocità.
Ritenuto quindi che le risultanze delle indagini preliminari non consentono un giudizio di fondatezza dell’ipotesi accusatoria., né una prognosi favorevole sulla idoneità degli elementi di prova a sostenere con esito positivo l’accusa nel dibattimento, visti gli artt. 5, comma 2, 17, 34, commi 1 e 2, D.Lvo 274/2000, gli artt. 408,411 e 415 c.p.p., e l’art.125 disp. att. c.p.p.
C H I E D E
che il Giudice di Pace di Bolzano voglia disporre l’archiviazione del presente e la conseguente restituzione degli atti al proprio Ufficio.
MANDA
alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.

Bolzano, il 16 dicembre 2005

IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
dott. Cuno TARFUSSER

 


Collegio Guide Alpine della Lombardia
Comunicato stampa 18.10.2004
COMUNICATO STAMPA
Divieto di fuoripista – Giudice di pace accoglie ricorso


Buone notizie per i professionisti e gli appassionati dello sci alpinismo giungono dalle
aule giudiziarie: Ieri il Giudice di pace di Agordo (BL) ha accolto il ricorso del Collegio
Guide Alpine Sciatori dell’Alto Adige contro un’ingiunzione emessa nei confronti di un
iscritto al collegio stesso.
La guida in questione il 2 febbraio 2004, insieme a clienti e quindi nella sua veste
professionale, stava compiendo un’escursione sci alpinistica nella zona di Arabba
quando è stato fermato dalle Forze dell’Ordine che, dopo averlo invitato a fornire le
proprie generalità, gli hanno elevato un verbale contestandogli l’inottemperanza ad
un’ordinanza del sindaco datata 3 gennaio 2003.
Tale ordinanza vieta, oltre ad una serie di comportamenti in pista, la pratica del
fuoripista nelle aree prossime a piste ed impianti. Nel caso specifico alla guida alpina
venne contestato il fatto di muoversi “in un tratto di fuori pista il cui pendio è vietato
da apposita segnaletica ben visibile indicante “stop – pericolo di valanghe”.
Il Giudice di pace ha però precisato che il segnale in questione non esprime un
divieto, ma è solamente indicatore di una potenziale pericolosità – paragonabile, ad
esempio, alla segnaletica stradale che indica il pericolo di caduta sassi o a quello
relativo all’attraversamento di animali selvatici.
Il Giudice ha inoltre sottolineato come non vi sia alcuna normativa che disciplini
l’accesso del cittadino alle aree esterne alle piste battute e che l’ordinanza in
questione non può fungere da parametro normativo in quanto troppo vaga. Infatti, il
divieto viene espresso in forma troppo generica senza circoscrivere né i luoghi né lo
spazio temporale di applicazione. In essa si fa esplicito riferimento alle “attuali
condizioni niveometeorologiche” nonostante l’ordinanza sia stata emessa il 3
gennaio 2003 e abbia esecuzione ininterrotta per tutto il corso dell’anno.
La sentenza di ieri rappresenta, per tutti coloro che praticano la montagna,
professionisti e non, un’importante battuta d’arresto nei confronti di una linea adottata
da qualche anno da alcune amministrazioni locali. Il proliferare di provvedimenti volti
a limitare la libera frequentazione della montagna costituisce un problema per coloro
che ripongono nelle discipline alpinistiche la propria professione o la propria
passione con ripercussioni anche sull’immagine turistica. Sebbene non ancora
definitiva, la sentenza di ieri conferma quanto sempre da più parti veniva già da
qualche tempo sostenuto: che tali provvedimenti, oltre che penalizzanti, sono spesso
arbitrari ed incongrui. Le guide alpine dell’Alto Adige auspicano che presto si
sostituisca a questo clima persecutorio nei confronti dello sci fuoripista un
atteggiamento più disteso che consenta alle amministrazioni, ai professionisti e agli
utenti di confrontarsi serenamente e risolvere i problemi senza compromettere la
pratica di attività che sono l’origine e l’essenza stessa dello sci.

 

 

 


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