MONTAGNA di LOMBARDIAMONTAGNA di LOMBARDIA

10 Marzo 2007

Piani di Bobbio - Piani di Artavaggio

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Week-end all'insegna dell'indecisione e dei cambiamenti di programma. Dovremmo andare a Champoluc a sciare ma all'ultimo monento Giobbe non sta bene e decidiamo di non partire. Faremo un giro sabato in giornata.

Partiamo di buon'ora verso Lecco con la voglia di fare una ferrata. Passiamo a prendere anche Massimiliano che è alla sua prima esperienza di arrampicata.

Parcheggiamo a Barzio e prendiamo la funivia, due biglietti di sola andata e uno di andata e ritorno. Io e Giobbe vorremmo infatti scendere con il parapendio. La meta è lo Zucco Campelli, che domina sopra i piani di Bobbio. Saliamo per le piste da sci fino a rifugio Milano dove chiediamo informazioni, visto che Giobbe si è dimenticato la relazione a casa.

Purtroppo ci dicono che la ferrata è coperta dalla neve e non agibile. Optiamo le l'altra ferrata dello Zucco Pesciolla, esposta al sole e quindi percorribile. Seguiamo il sentiero fino all'attacco della ferrata ma, dopo i primi passaggi siamo costretti a rinunciare perché Massimilano accusa le vertigini.

Proseguiamo quindi sul tracciato che porta ai piani di Artavaggio attraversando un paio di passaggi su neve slavinata. Arriviamo alla malga Campelli e ci fermiamo a magiare i nostri panini.

Il cielo è terso ma siamo bersagliati da un fortissimo vento da nord. Non riusciamo a trovare riparo e quindi, invece che rilassarci, proseguiamo lungo il sentiero innevato. Il paesaggio è davvero surreale: siamo in una specie di deserto in quota ricoperto dalla neve. Solo una traccia di qualcuno che è passato prima di noi e poi, per chilometri, nessuno.

Negli attimi di pausa tra una raffica e l'altra ascoltiamo il silenzio che si impadronisce di questi luoghi. Vorremmo riuscire a fare il giro completo della montagna ma sono già le 14.00 e non sappiamo come sarà il sentiero che gira a nord. Non siamo attrezzati con piccozze e ramponi e un eventuale passaggio su ghiaccio ci obbligherebbe a tornare indietro. Per evitare questo rischio invertiamo la rotta tornano sui nostri passi.

Mentre rientriamo cerco di valutare se ci siano le condizioni per fare un volo con il parapendio. Il vento, come anticipato dalle previsioni, purtroppo è fortissimo e proviene da nord. Con queste condizioni sulle nostri alpi è proibitivo volare. Nei punti meno riparati soffia talmente forte che solleva cristalli di ghiaccio. Nonostante questi evidenti segni non mi arrendo ed inizio a sperare che più in basso il vento da sud abbia la meglio e che questa tormenta sia confinata solo in alta quota.

Arriviamo alla funivia dove abbiamo parcheggiato le vele. Giobbe decide di non volare ed io con lo zaino in spalla mi porto verso il decollo. E' esposto a nordovest, direzione dalla quale proviene il vento forte. Qui sembra tutto più tranquillo ed inizio a preparare la vela per il decollo.

La mia voglia di volare mi sta facendo trascurare segnali di pericolo evidenti. Alle 16.40 decollo e subito sento che qualcosa non va: il mio Vibe è nervosissimo e sento la semiala destra che cerca di chiudersi. Capisco immediatamente cosa sta per succedere: sto per uscire dalla zona sottovento protetta e sta per investirmi una corrente di aria che corre come un treno. Dopo pochi istanti la mia vela si chiude violentemente, si gira e vengo spinto indietro. Si riapre e mi ritrovo in rotta di collisione con la pista da sci: controllo la situazione e mi giro di 180 gradi. Cerco di galleggiare in questo vento terribile e sento il variometro che dice che sto salendo. Sempre di più: urla con un tono ininterrotto mai sentito, nemmeno nelle termiche più robuste.

Non riesco nemmeno a guardarlo, sicuramente ha registrato un valore oltre il suo limite. Dalla traccia registrata il Gps mi ha indicato una ascendenza di 7,5 metri al secondo e una velocità massima di 78 kmh. Mi giro a vedere il decollo che ormai è qualche centinaio di metri sotto di me e la funivia è piccolissima. Sono a 1880 metri e devo scendere per evitare vento ancora più forte.

Arrivo in centrovalle incolume ed inizio a pensare all'atterraggio, che con questa ascendenza è sempre più un miraggio. Riesco a scattare qualche foto ma poi innesco una serie di viti per scendere rapidamente. In una vite sento addirittura che sto salendo!

Il vento si incanala nella valle provenendo da Taceno e mi sta spingendo verso il fondovalle. Capisco che devo evitare di farmi spingere dove la valle si stringe: li si concentrano tutte le linee dell'alta tensione e inoltre il vento sarà sicuramente più forte.

Collego i cavi dell'acceleratore e spremo i cavalli del mio parapendio. Il Vibe conferma però le sue caratteristiche di ronzino che, pur rendendolo più sicuro in caso di chiusure, lo rendono anche più lento e con l'acceleratore affondato mi sembra di essere sempre fermo. Guardo il mio gps che mi conferma i sospetti. Ad aggravare la situazione ci si mette il ronzino con la sua tendenza a chiudersi quando si trova controvento accelerato.

Faccio diverse chiusure , anche violente, che, pur aiutandomi a perdere quota, mi allontanano dalla zona dove troverei atterraggi ampi e sicuri. Devo decidere se rischiare di fare altre chiusure accelerando con la speranza di arrivare in atterraggio o evitarle facendomi però trascinare indietro contro gli ostacoli.

E' come trovarsi in mezzo al mare in canoa con la burrasca ma la sensazione che percepisco è nettamente peggiore. E' passato parecchio tempo dal decollo e sto impiegando tutte le mie risorse fisiche e mentali cercando di sopravvivere. Riesco quasi a masticare l'adrenalina che mi ha ormai saturato e mi sta logorando.

Arrivo anche a pensare che potrei lanciare il paracadute d'emergenza, ma non avrebbe senso adesso: il parapendio è aperto e sta volando e un minimo riesco ancora a controllarlo. Con l'emergenza perderei qualsiasi tipo di controllo e verrei trascinato dove vuole il vento. Sarebbe come appaltare la propria sorte interamente al fato.Mi libererebbe dalla pressione psicologica di questi attimi ma non dal pericolo.

Tengo duro e continuo a lottare contro un vento più forte che non mi permette nemmeno di scendere. Provo a guardare il paese di Barzio, dove sono già atterrato altre volte. Con il vento così forte quel prato mi sembra piccolissimo e sicuramente pieno di insidie, rappresentate dai rotori che il vento crea sulle case e sugli alberi. Ormai non controllo quasi più e qualsiasi tentativo di cambiare direzione risulta vano. Mi giro indietro e vedo che le due alte linee elettriche sotto di me si uniscono e non ci sarebbe alcuno spazio sicuro per atterrare. Non mi resta che tentare il tutto per tutto girandomi con le spalle a vento per allontanarmi da questo punto pericolosissimo.

Entro nel fiume in piena ed individuo un prato in una valle laterale, appena sopra i cavi. Adesso ho perso quota e questo è l'unico punto dove posso girare. Con il vento alle spalle entro ad alta velocità in questa valle e cerco di capire da che parte girare per evitare gli ostacoli. Faccio una virata secca a sinistra ed imposto l'atterraggio. La mia paura è che il vento sia forte anche qui e che mi spinga contro gli alberi. Fortunatamente il vento non è così forte come la mia paura e appoggio delicatamente i piedi a terra.Sono le 16.23 e ripiego la vela pensando al pericolo scampato. Il grosso lavoro del futuro sarà per me capire perché sono arrivato alla decisione di decollare per evitare situazioni simili.


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